Dopo Somalia, Libia e Siria, stiamo per avere un altro «Stato fallito»: il Venezuela. La novità è che non si tratta di un tormentato Stato africano o mediorientale, ma di un Paese che una volta fino all'avvento e al successivo crollo del cosiddetto «socialismo bolivariano» - era uno dei più prosperi dell'America latina, con una forte colonia italiana che aveva contribuito al suo sviluppo. Come ha scritto l'Economist, siamo non solo al collasso di una nazione, ma anche del cosiddetto «chavismo» che, a un certo punto, stava contagiando mezzo continente. Ormai per sopravvivere Nicolas Maduro, l'ex conducente d'autobus succeduto nel 2013 al vecchio caudillo, deve fare strame della stessa Costituzione contenuta nel famoso «libretto blu» del suo mentore: fa bocciare da una Corte suprema formata solo di suoi accoliti leggi e decreti votati da un Parlamento in cui, dalle elezioni dello scorso dicembre, non ha più la maggioranza, incarcera con vari pretesti gli avversari politici, boicotta la richiesta dell'opposizione di applicare l'articolo che prevede un referendum su una richiesta di «richiamo» del presidente (una specie di impeachment). Inutilmente il segretario dell'Organizzazione degli Stati americani, Luis Almagro, lo ha avvertito che se respingerà questa richiesta si trasformerà in un «meschino dittatore» e il Venezuela potrebbe essere «sospeso» dal consesso. Maduro gli ha risposto accusandolo di essere un agente della Cia, parte del complotto internazionale che a suo dire è responsabile di tutti i mali del Paese.
Più ancora della crisi politica, a rendere drammatica la situazione del Venezuela è quella economica e sociale, dovuta ad anni di insensato statalismo e di cattiva amministrazione, oltre che al crollo del prezzo del petrolio che forniva a Chavez i mezzi per fare quella politica sociale che gli assicurava il sostegno delle masse. Oggi che le casse dello Stato sono vuote, la vita quotidiana della popolazione classe media compresa - è diventata un inferno: code chilometriche si formano davanti ai supermercati prima dell'alba nella speranza di trovare un po' di pane o un quarto di pollo, ma spesso gli empori, disperatamente vuoti, non aprono neppure; i saccheggi dei pochi negozi che hanno ancora della merce sono sempre più frequenti, e la polizia è costretta ad affrontare manifestanti che protestano semplicemente perché hanno fame; la Coca Cola e numerosi stabilimenti alimentari hanno chiuso per mancanza di materia prima; in molti quartieri di Caracas e in buona parte delle province l'elettricità viene erogata per poche ore e l'acqua ormai una brodaglia bruna impossibile da bere e che infiamma la pelle una volta la settimana; negli ospedali mancano le medicine, buona parte delle apparecchiature sono fuori servizio e muore gente che in ogni altro Paese civile potrebbe essere facilmente curata; l'inflazione è al 700%; per risparmiare corrente, tribunali e uffici pubblici sono aperti solo il lunedì e il martedì, spesso solo per mezza giornata; da una settimana, hanno cominciato a chiudere anche scuole ed asili; in molte ore della giornata Carcacas, una volta una delle metropoli più caotiche del continente, sembra una città fantasma; e, come è ovvio, la criminalità è rampante, con i sequestri di persona, le rapine e gli omicidi che aumentano di giorno in giorno.
Come andrà a finire? L'impressione è che, se continuerà a violare la Costituzione, Maduro sopravvivrà soltanto fino a quando i militari, dai tempi di Chavez parte integrante del regime, ma ora «infiltrati» anche dall'opposizione, non decideranno di farla finita. Intanto vecchi alleati, come Argentina e Brasile, gli stanno voltando le spalle e perfino Cuba sembra prendere le distanze. Gli Usa hanno ufficialmente definito il regime venezuelano una «minaccia per il continente».
Se non vuol finire male, a Maduro converrebbe accettare il referendum e se come i sondaggi lasciano prevedere l'elettorato gli darà il benservito, accettarne il verdetto. Sarebbe la fine di un'epoca, ma almeno senza spargimento di sangue.
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