Il "Ventennio" berlusconiano? Ha governato di più la sinistra

Un mito viene sfatato. Dal 3 settembre si è realizzato il sorpasso storico: tra il '94 e oggi Prodi, D'Alema & Co. hanno passato più giorni a Palazzo Chigi rispetto al Cavaliere

Il "Ventennio" berlusconiano? Ha governato di più la sinistra

Da 26 giorni il Ventennio 1994-2014 è ufficialmente «rosso».

È una delle balle più ricorrenti quando si ragiona ex post su quanto avvenuto dal '94 in poi. Un solido luogo comune, una sintesi sbrigativa e volutamente «evocativa» visto che la parola «Ventennio» richiama inevitabilmente alla memoria l'era fascista e produce una immediata assimilazione politica. Fatto sta che il famoso «Ventennio berlusconiano», oltre a non essere mai esistito visto che il Cavaliere è rimasto in carica poco più di 9 anni, può adesso essere sostituito - con la stessa logica e numeri alla mano - dalla dizione e dal marchio di «Ventennio rosso».

Il «sorpasso» è avvenuto lo scorso 3 settembre. In quella data il centrosinistra ha sopravanzato il centrodestra come tempo totale di permanenza al governo. Per verificarlo basta andare a sommare la durata degli esecutivi Prodi 1 - Dini - D'Alema 1 e D'Alema 2 - Amato 2 - Prodi 2 - Letta (contando soltanto i giorni successivi al passaggio all'opposizione di Forza Italia) e Renzi per scoprire che nell'arco temporale 1994-2014 il centrosinistra prevale ormai nel tempo complessivo di «occupazione» di Palazzo Chigi. Il conto è presto fatto. Il centrosinistra può contare su 3.366 giorni di governo: Lamberto Dini 486 giorni; Romano Prodi 1.609; Massimo D'Alema 552 giorni; Giuliano Amato: 412 giorni; Enrico Letta (dal 26 novembre, giorno in cui Forza Italia ritira l'appoggio a questo esecutivo): 88 giorni; Matteo Renzi: 219 giorni. I quattro governi Berlusconi arrivano, invece, a un totale di 3.340 giorni e sebbene costituiscano un record di permanenza in carica difficilmente battibile per un singolo presidente del Consiglio (dietro segue a distanza Giulio Andreotti con 2.679 giorni in sette governi) rappresentano un tempo di permanenza inferiore ai vari esecutivi dell'Ulivo o dell'Unione.

Normalmente quando si obietta riguardo all'inesistenza del «Ventennio berlusconiano» la risposta dei sostenitori a oltranza di questa tesi è che il creatore di Forza Italia sia riuscito - sia da capo del governo sia da leader dell'opposizione - a dettare la propria agenda di priorità, in qualche modo a proiettarla oltre se stesso e il proprio potere reale. Una lettura in fondo offensiva verso i vari premier di centrosinistra di cui così si certifica una sostanziale incapacità di incidere, di entrare nell'immaginario comune, di mettere in campo governi riconoscibili e dalla forte carica identitaria. Ma è anche un modo per la sinistra di auto-assolversi e scaricare le proprie responsabilità, dimenticando di essere stata al governo per più di nove anni.

L'altra circostanza politica che viene spesso dimenticata relativa al Ventennio che tra tre mesi si andrà a concludere, riguarda il salto di qualità democratica, la riscrittura delle regole del gioco e l'ingresso nel salotto buono della politica di forze confinate all'opposizione per 50 anni. Paradossalmente proprio negli anni in cui in nome dell'imperativo dell'anti-berlusconismo è tornata in voga la parola «regime», gli ex missini sono riusciti a entrare al governo. E gli eredi del Pci hanno potuto per la prima volta non solo partecipare a una avventura governativa, ma guidare un esecutivo «proprio» con D'Alema, spezzando il meccanismo della «conventio ad excludendum» che impediva alla sinistra italiana di salire al potere, al di là della complicità consociativa della Prima Repubblica.

Nella vulgata del Ventennio c'è anche l'idea diffusa che nessuna vera riforma sia stata realizzata. Al contrario ci sono provvedimenti che continuano a incidere sulla nostra vita. Alcuni esempi? La riforma Maroni delle pensioni che ha assicurato sostenibilità al sistema (nonostante le varie controriforme del centrosinistra); la legge Biagi; l'eliminazione dell'imposta di successione; il bonus bebè; l'abolizione della leva obbligatoria; la creazione della social card; l'aumento delle pensioni minime; la trasparenza nella Pubblica amministrazione; la patente a punti; il divieto di fumo nei locali pubblici.

Cosa resta, invece, delle riforme del centrosinistra? A memoria l'innalzamento dell'obbligo scolastico; il tre più due universitario; il pacchetto Treu sul lavoro interinale; la (pessima) riforma del Titolo V; la legge Draghi sulle Opa e le lenzuolate di Bersani con l'abolizione del tariffario per gli ordini professionali, una forte tracciabilità dei pagamenti e la portabilità gratuita del mutuo. Eredità sulle quali ciascuno può esprimere e maturare un giudizio. Sforzandosi di distinguere i fatti, nella nebbia delle memorie corte e ballerine e delle opposte propagande.

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