Le diverse facce di un complotto. Gli Stati Uniti spiavano il premier Silvio Berlusconi e ascoltavano le conversazioni del suo staff. Più o meno nelle stesse settimane le agenzie di rating davano il colpo di grazia al traballante esecutivo, diffondendo report catastrofici sul debito pubblico italiano. Quel che successe negli ultimi drammatici mesi del governo Berlusconi è oggetto di polemiche e ricostruzioni che dividono gli esperti. C'è chi parla semplicemente di anomalie e chi spinge per la tesi della congiura o del golpe. Ed è difficile individuare con precisione l'eventuale manina che avrebbe agito dietro le quinte per defenestrare l'esecutivo. Ma qualche elemento può essere allineato. Gli Usa ascoltavano le conversazioni del capo del governo, o meglio la potente Nsa pescava a strascico da migliaia di dialoghi.
Ci fu dunque un intervento diretto dell'amministrazione di Washington? No, a quanto risulta. Obama diceva: «Silvio is right» e il segretario del tesoro Tim Geithner si tirò indietro davanti al pressing di alcuni funzionari - o forse ministri - europei che volevano far ruzzolare Berlusconi dalla poltrona di premier. Ma altre centrali, questa volta quelle finanziarie, hanno giocato la loro partita nello stesso delicatissimo momento. E hanno contribuito ad abbattere il Cavaliere. A sostenerlo non è il Giornale ma la procura di Trani che ha spedito a processo un manipolo di analisti di due dei colossi mondiali del rating: Fitch e Standard & Poor's. L'accusa, pesantissima, è quella di aver manipolato o meglio alterato i mercati sparando informazioni grossolane, anzi distorte sul nostro Paese e spargendo il panico fra gli investitori.
Insomma, al di là delle definizioni semantiche, c'è la prova o almeno forti indizi che anche su questo lato qualcosa non quadra. Troppi attori si mossero in un palcoscenico ristretto per togliere di mezzo quel Berlusconi sì vulnerabile ma anche elemento non subalterno all'egemonia tedesca e alla visione a stelle e strisce del mondo. Secondo i pm di Trani, i tecnici di Standard & Poor's fornirono «intenzionalmente» ai mercati finanziari fra maggio 2011 e gennaio 2012 quattro report intinti nell'inchiostro velenoso di notizie false o tendenziose. Il motivo? «Disincentivare l'acquisto di titoli del debito pubblico e deprezzarne così il valore». Un'operazione diversa ma analoga a quella compiuta a gennaio 2012, quando ormai a Palazzo Chigi c'era Monti, da Fitch: l'agenzia avrebbe creato ad arte un clima di terrore, divulgando a mercati aperti informazioni che dovevano rimanere riservate e quindi assestando una micidiale spallata alla credibilità delle finanze tricolori e iniettando sfiducia e un sentimento di smobilitazione fra gli investitori internazionali. Un gioco nemmeno troppo raffinato che è oggetto di un lungo e articolato dibattimento in corso a Trani: in questi mesi sono stati sentiti in aula lo stesso Monti e poi personaggi di altissimo profilo come Mario Draghi, Romano Prodi e Giulio Tremonti. Non solo: è emerso, complotto nel complotto, che il ministero dell'Economia pagò sul declassamento una penale di 2,5 miliardi di euro alla banca d'affari americana Morgan Stanley, come da clausola del contratto fra Roma e l'istituto di credito.
Quel che non si sapeva è che Morgan Stanley è azionista di McGraw Hill che a sua volta controlla Standard & Poor's.Insomma, i congiurati avrebbero avuto una sponda pure di là dell'Atlantico, anche se molti passaggi sono ancora oscuri. Ma certo da Berlino a New York qualcuno si diede da fare per chiudere la stagione di Berlusconi.
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