«In quei giorni ci fu un pesante bombardamento presso la collina di Karachun. Siamo stati informati che un reporter francese era rimasto ferito e si trovava all'ospedale. Due suoi colleghi avevano perso la vita: un italiano e un cittadino russo. L'indomani siamo andati sul posto, dopo esserci vestiti in abiti civili per evitare di essere colpiti dagli sniper ucraini. È stato così che abbiamo recuperato i due cadaveri». È il racconto di due miliziani della repubblica separatista di Donetsk, il soldato Alexander Vladimirovich Rakityansky e il suo comandante «Zhora», che siamo riusciti a rintracciare e intervistare in una posizione di retrovia alla periferia della città. I due stando al loro racconto si trovavano di stanza a Sloviansk, nel Donbass centrale, proprio nelle ore in cui il fotografo Andrea Rocchelli e il suo interprete russo, Andrej Mironov, sono rimasti uccisi durante un intenso cannoneggiamento alle porte della città. Si tratta di una testimonianza molto importante, che viene raccolta oggi per la prima volta: tra le svariate persone presenti in quei giorni sul luogo della tragedia, infatti, quasi nessuno ha accettato di parlare, né con i giornalisti né con gli inquirenti.
Era il tardo pomeriggio del 24 maggio del 2014. Andrea Rocchelli, Andrej Mironov e il fotografo francese William Roguelon viaggiavano a bordo di un'auto nei pressi dell'altura di Karachun, presidiata dall'esercito regolare di Kiev. I tre erano in compagnia di un driver locale, la cui identità non è ancora stata accertata. I primi spari sono arrivati all'improvviso, proprio mentre il terzetto, dopo aver abbandonato il veicolo, stava ispezionando l'area antistante alla fabbrica di ceramiche Zeuss, tra le cui mura erano asserragliati i miliziani separatisti. Pochi attimi prima della sparatoria, i tre cronisti sarebbero stati raggiunti da un quinto uomo, un civile dall'aspetto molto impaurito, che li avrebbe invitati a «partire subito e sparpagliarsi»: purtroppo non ce n'è stato il tempo. Secondo la testimonianza di Roguelon, i colpi prima di arma leggera e poi di mortaio sarebbero partiti dalla direzione opposta rispetto allo stabilimento, ovvero dalla cima della collina. I cinque hanno subito cercato riparo nei campi. Mentre Roguelon, il civile e il driver sono riusciti in qualche modo ad allontanarsi, Rocchelli e Mironov si sono acquattati in un piccolo fossato, dove sono stati colpiti da un colpo di mortaio. Si sarebbe trattato, secondo gli inquirenti della procura di Pavia, di un atto deliberato, uno dei cui presunti responsabili l'italo-ucraino Vitaly Markiv, già soldato dell'esercito di Kiev è stato arrestato proprio nelle scorse settimane.
Ma cosa è successo nelle ore successive al fatto? Racconta il miliziano Alexander Vladimirovich Rakityansky: «Una prima ricognizione fu effettuata la sera stessa, poco dopo il bombardamento, ma non fu possibile individuare alcun corpo. L'indomani mattina, invece, riuscimmo finalmente a trovare i due cadaveri: giacevano nel fosso, martoriati dalle schegge. Per prima cosa, recuperammo i loro documenti d'identità, oltre alle fotocamere e alcuni altri effetti personali. Portammo ogni cosa al quartier generale, dove tutti i reperti furono accuratamente fotografati per ordine dei nostri superiori: l'ufficiale Druzhok e il suo vice Batya. Dopodiché tornammo sul posto per recuperare i due corpi. Eravamo in tre: io, il comandante Zhora e un terzo miliziano, il cui nome di battaglia è Zelonyy. Lasciammo la macchina in un luogo sicuro, proprio accanto allo stabilimento Zeuss, facendo attenzione a non farci avvistare dai soldati ucraini. L'italiano era steso in posizione fetale, con molte ferite su tutto il corpo, mentre il russo era stato decapitato dalle schegge. Ricordo che entrambi i corpi erano molto martoriati, e quando provai a caricarmeli in spalla mi resi conto che avevano tutte le ossa rotte. Sistemammo i cadaveri nel baule dell'automobile, una piccola Niva a tre porte, e ci allontanammo rapidamente. Io mi misi al volante, mentre Zhora si accoccolò sul cofano. I resti dei due uomini furono portati all'obitorio, mentre i loro documenti rimasero in mano a Druzhok, che li consegnò ai suoi superiori: a Igor' Ivanovi Strelkov (all'epoca ministro della Difesa dell'autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, ndr), o a qualcun altro».
Le spoglie di Rocchelli sarebbero state rimpatriate il 28 maggio via Kiev, dopo aver attraversato, tra non poche difficoltà, le province dell'Ucraina orientale dove ancora infuriavano i combattimenti. Il comandante Zhora, che avevamo già incontrato sul fronte di Pisky nei primi mesi del 2015, aggiunge altri particolari: «C'erano bombardamenti continui, le campagne di Sloviansk erano letteralmente in fiamme. Ricordo bene quelle ore. I colpi che uccisero i due reporter erano bombe di mortaio da 82 millimetri. Ne sono praticamente certo, perché conosco bene quel tipo di proiettili. In quei giorni, l'esercito ucraino effettuò diversi bombardamenti di questo tipo. Avevano un arsenale fornitissimo, e l'orizzonte di Sloviansk era perennemente illuminato dalle esplosioni. Non credo che si sia trattato di un incidente. La visuale, dalla collina di Karachun, era pressoché perfetta: Rocchelli e Mironov si trovavano ai piedi dell'altura, proprio di fronte alle postazioni ucraine.
È stato un vero e proprio tiro al bersaglio, come si fa al poligono». Abbiamo chiesto ai due miliziani se qualcuno, dall'Italia, ha mai cercato di contattarli per raccogliere le loro testimonianze: «No, nessuno», hanno risposto.
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