Eccolo Luigi Di Maio l'intransigente, come del resto tutti quelli del Movimento 5 Stelle: «Non sono a favore della presunzione d'innocenza per i politici. Se uno è indagato, deve lasciare». Era il dicembre 2015. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti grillini.
Il giustizialismo dei primi tempi non c'è più. O meglio, c'è solo quando fa comodo ai pentastellati, ora che hanno scoperto che rispettare le loro regole lì dove governano non è sempre semplicissimo. Il caos del Comune di Roma, con l'assessore all'Ambiente Paola Muraro indagata, gliel'ha ricordato. E subito il Movimento è andato a rispolverare quella doppia morale che già in altre occasioni aveva mostrato: forcaioli con gli altri, garantisti con se stessi. E tutto fa molto più rumore ora che la sindaca Virginia Raggi ha ammesso che sapeva da fine luglio dell'esistenza in Procura di un fascicolo sulla Muraro, già sotto inchiesta quando è stata nominata. Sapeva la Raggi, ma ha sempre taciuto. Del resto non c'è ancora un avviso di garanzia e nessuno ha ancora letto le carte. Anche Di Maio si aggrappa a questo e sospende il giudizio senza accanirsi come avrebbe fatto con qualsiasi altro indagato. Per eventuali provvedimenti, ora che sulla graticola c'è uno di loro, c'è sempre tempo. Chi non aspetta è il Pd. «Doppia morale, doppio gioco e zero governo di Roma», scrive su Twitter il deputato Andrea Romano. «Un avviso di garanzia non è una condanna, ma mentire a sangue freddo sulla propria condizione di indagata come ha fatto la Muraro è un atto di enorme gravità», commenta Stella Bianchi, deputata Pd. Mentre Stefano Fassina, di Sinistra italiana, e il capogruppo di FdI-An alla Camera, Fabio Rampelli, chiedono le dimissioni dell'assessore. Come fu anche per la vicenda degli scontrini dell'ex sindaco Ignazio Marino.Gli esempi del «doppiopesismo» grillino si sprecano: quando sbagliano gli altri, via al minimo sospetto. Mentre per i politici del Movimento vale sempre la presunzione di innocenza. Rosa Capuozzo, sindaco di Quarto, finita nell'inchiesta sui condizionamenti della camorra sulle elezioni, venne difesa a spada tratta. Quando a finire nel registro degli indagati per bancarotta fraudolenta fu il primo cittadino di Livorno, Filippo Nogarin, i pentastellati partirono in quarta per difenderlo. Lo stesso Grillo gli telefonò per confermargli la sua fiducia. E le dimissioni slittarono dopo un eventuale rinvio a giudizio.
Un grande imbarazzo e il silenzio dei vertici del Movimento accolsero la notizia dell'avviso di garanzia all'assessore Gianni Lemmetti, finito nella stessa inchiesta sull'azienda dei rifiuti livornese. Lui non si dimise e M5S rispose dicendo anche in quel caso che non si conoscevano ancora le contestazioni specifiche.
Il sindaco M5S di Parma, Federico Pizzarotti, invece, fu sospeso quando finì indagato per le nomine del teatro Regio. Ma era da tempo in rotta con il Movimento. Ora si gode la rinvicita: «In effetti stando seduti sulla riva del fiume passa un sacco di gente #noleggiosalvagenti», ha twittato ieri. Per lui un trattamento diverso da quello ricevuto da Nogarin perché - disse allora Di Maio - Pizzarotti aveva nascosto l'avviso di garanzia. Come adesso ha fatto la Muraro.Per l'ex ministro Maurizio Lupi non ci fu nemmeno bisogno di inchieste giudiziarie. Fu crocifisso dai Cinque Stelle senza essere indagato per lo scandalo dell'orologio ricevuto in regalo da una persona coinvolta nell'indagine sulle tangenti per le grandi opere. In aula i grillini lo attaccarono con violenza, chiedendone le dimissioni. E le ottennero.
Dimissioni che sollecitarono anche per il ministro Angelino Alfano, quando saltò fuori la storia del fratello assunto in una società delle Poste, e per la ministra Maria Elena Boschi per lo scandalo di Banca Etruria che coinvolge suo padre.
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