Il volto segreto di Moas: l'Ong con i santi in paradiso

Ieri l'audizione in Commissione Difesa del Senato «Siamo trasparenti». Ma i finanziatori restano oscuri

Il volto segreto di Moas: l'Ong con i santi in paradiso

«Siamo sempre trasparenti, sinceri e collaborativi con istituzioni e collaboratori. I nostri interventi non sono mai autonomi e indipendenti, ci muoviamo solo su chiamata del centro operativo della Guardia Costiera di Roma». Per quanto riguarda la lista dei donatori, invece, «non ho problemi» a fornirla «ma devo ottenere il loro consenso». Così ieri Ian Ruggier, Christina Ramm-Ericsson, Benjamin Briffa e Ian Ruggier, rispettivamente membro del consiglio d'amministrazione, capo-staff e responsabile finanziario di Moas (Migrant Offshore Aid Station), l'organizzazione che nel 2014 diede il via alle prime operazioni «private» di salvataggio nel Mediterraneo si sono presentati alla Commissione Difesa del Senato.

Una Commissione assai curiosa di saperne di più su questa Ong, sui suoi finanziatori e sulle molteplici attività del suo (in)discusso padre padrone Chris Catrambone.

In verità un primo, evidente elemento di anomalia sedeva davanti a loro. Il maltese Ruggier, riciclatosi come morigerato salvatore di migranti, ha un passato da ufficiale delle forze armate del suo paese ed è finito sotto inchiesta per aver comandato i militari che nel gennaio 2005 sedarono a bastonate una protesta di richiedenti asilo spedendoli all'ospedale. Ma se il «convertito» Ian Ruggier è il più presentabile che dire del «mecenate» Chris Catrambone arricchitosi tra il 2003 e il 2010 stipulando polizze sulla vita per i contractors in partenza per Afghanistan e Iraq. Assicurare i professionisti del mercenariato non è un reato, ma garantirsi una sorta di monopolio su una fetta di mercato dove i contratti più desiderati sono quelli del governo americano non è da tutti. In quel passato è basato il sospetto che ha spinto fonti militari di Malta a segnalare a Il Giornale le possibili attività di intelligence svolte utilizzando il Moas come copertura. Un sospetto condiviso dal procuratore di Catania Carmelo Zucchero che accennando al Moas parla di «profili non sempre collimanti con quelli dei filantropi».

Certo se sospetto e realtà corrispondessero la copertura sarebbe a dir poco perfetta. Grazie alla generosa e indifferente copertura della nostra Guardia Costiera - da cui ottiene il placet per operare persino dentro le acque territoriali libiche il Moas è libera di scorrazzare in una delle aree più calde del Mediterraneo spostando ora il Phoenix, una barca di 40 metri appoggiata da droni registrata nel Belize, ora il Topaz Responder, un vascello di 51 metri con bandiera delle isole Marshall.

Due imbarcazioni «notate» sia dalle autorità di Malta, sia dai sistemi di rilevamento di Eunavfor Med per la potenza di alcuni apparati destinati all'intercettazione di onde radio. Apparati che poco hanno a che fare con il salvataggio dei profughi, se veramente il Moas interviene solo su richiesta dalla Guardia Costiera e molto di più con le operazioni d' intelligence in appalto che il Tangiers Group, la holding di Chris Catrambone pubblicizza su siti e depliant delle sue consociate.

E anche sul fronte dei finanziamenti i dubbi non mancano.

Certo è singolare che nel settembre del 2014 - dopo una sola missione di salvataggio nel Mediterraneo il Moas sia stato inserito nelle liste di «Global Impact», l'organizzazione che gestisce e spartisce tra un selezionatissimo numero di Ong le offerte per decine di milioni di dollari, fiscalmente detraibili, donate dai dipendenti federali di tutti Stati Uniti.

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