Roma Il reddito di cittadinanza c'è già, è la pensione del nonno. La rendita dell'ex lavoratore, ottenuta quando i requisiti per il ritiro erano meno rigidi, serve a mantenere una famiglia italiana su cinque. Eredità del vecchio welfare, che riveste un ruolo fondamentale nell'Italia di oggi. Permette a migliaia di nuclei familiari di restare sopra la soglia della povertà.
Una conferma arrivata ieri dal report Istat «Condizioni di vita dei pensionati» relativo agli anni 2016-2017. Queste le cifre: ci sono 12 milioni di famiglie nelle quali almeno uno dei membri è pensionato. «Nel 61,2% dei casi (cioè delle famiglie con pensionati) i trasferimenti previdenziali rappresentano oltre il 75%» del reddito familiare «e per il 22,7% delle famiglie l'unica fonte di reddito».
Se prima la famiglia con un pensionato aveva mediamente redditi complessivi inferiori rispetto a una con solo lavoratori, ora il gap si sta riducendo: dai 2 mila euro annui nel 2013 e nel 2014, di 1.400 nel 2015 e di 850 euro nel 2016.
L'assegno Inps per molti è l'ultimo argine alla povertà. L'Istat rileva come all'interno dei nuclei familiari più deboli la pensione consenta di dimezzare il rischio di povertà. Una possibilità su tre di scendere sotto la soglia della povertà senza rendita pensionistica, una su sei con l'assegno previdenziale. Una funzione anti povertà ce l'ha anche il cumulo tra redditi da pensione e da lavoro (vietato ai percettori di pensioni sulla base di Quota 100). I pensionati che lavorano hanno solo il 3,8% di possibilità di diventare poveri.
Le statistiche, insomma, confermano quello che gli esperti (e anche i sindacati) dicono da tempo. Le pensioni, che sarebbero una rendita del capitale accumulato in anni di lavoro attraverso i contributi, si confondono con le misure di assistenza, che sono invece a carico della fiscalità generale. Secondo il Centro studi Itinerari previdenziali di Michele Brambilla «benché in leggera crescita, la spesa pensionistica è sotto controllo; sempre più insostenibile invece il costo delle attività assistenziali a carico della fiscalità generale: 110,15 miliardi di euro nel 2017 (+26,65 miliardi dal 2012)».
In generale a pensioni, assistenza e sanità va il 54,01% della spesa pubblica comprensiva degli interessi sul debito. L'incidenza rispetto al Pil è del 30%. Una delle più alte d'Europa. In Italia, insomma, un terzo della ricchezza prodotta va in welfare. E anche la totalità delle entrate fiscali. «Per finanziare il generoso sistema di welfare italiano, occorrono (con riferimento al 2016) tutti i contributi sociali, tutte le imposte dirette e almeno altri 7,68 miliardi da reperire tramite imposte indirette», si legge nel Sesto Rapporto sul Bilancio del Sistema previdenziale italiano del centro studi.
Il rapporto «fa chiarezza sulle reali dinamiche delle nostre pensioni: la spesa pensionistica è sotto controllo, ma la zavorra della spesa assistenziale, in continua crescita, determina un peso insostenibile per le casse dello Stato», ha commentato il presidente di Cida (confederazione italiana dirigenti e alte professionalità) Giorgio Ambrogioni.
Tra gli altri dati emersi dal rapporto Istat sulle pensioni, lo squilibrio di genere. «Le donne ricevono di pensione in media quasi 6mila euro in meno degli uomini», ha rilevato Mara Carfagna, vice presidente della Camera e deputata di Forza Italia. «Ecco perché noi di Forza Italia siamo promotori di una proposta di legge che - sul modello tedesco - consenta ad ogni donna di computare un anno di lavoro per ogni figlio».
La soluzione a questo squilibrio, così come a quello Nord Sud, è rilanciare le riforme, «in favore del welfare aziendale e della previdenza complementare, perché la pensione dei giovani di oggi sia in futuro adeguata», ha aggiunto l'esponente di Forza Italia.
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