C'era una volta il «Grande Condottiero», Mao Tse Tung. Poi venne il «Piccolo Timoniere», Deng Xiao Ping, comunista di un genere fino ad allora sconosciuto il quale scoprì, sulla via del capitalismo in salsa cinese, che «arricchirsi è glorioso». Ora è la volta di Xi Jinping, l'«Ultimo Imperatore», l'uomo al quale si deve il vero Grande Balzo in avanti: quello economico, politico e militare, che ha proiettato la Cina nell'empireo delle Grandi Potenze.
Xi Jinping, si scopre ora, potrebbe restare al potere per almeno 15 anni, ben oltre il 2023, anno in cui scadrebbe il suo mandato. Il Comitato centrale del Partito comunista cinese sembrando forse un po' esagerata, al momento, l'idea di nominarlo presidente «a vita» - ha proposto infatti la rimozione dalla Costituzione del limite dei due mandati consecutivi (di cinque anni ciascuno). La «proposta» lo si vedrà nel corso del Congresso nazionale del Popolo che si aprirà il 5 marzo e rieleggerà Xi alla carica di presidente - ovviamente verrà accolta. Consentendo all'«ultimo imperatore» di ricandidarsi nel 2023 per un terzo mandato. E così via, ad libitum.
Nella storia della Cina, e nei libri di testo delle scuole, Xi c'è già entrato a vele spiegate lo scorso novembre, quando il 19° Congresso del Partito ha inserito il «Pensiero di Xi Jinping» nella costituzione comunista. Formula che ora verrà incisa a lettere di fuoco anche nella Costituzione della Repubblica. Più di Mao, più di Deng, questo strano cinese che ha letto Hemingway e cita Dante e Petrarca si avvia a diventare un mito vivente.
Cominciò presto, il giovane Xi, a mettersi in evidenza. I quarti di «nobiltà politica» non gli mancavano, visto che faceva parte del gruppo dei Taizi: il club che riunisce figli e nipoti (i «principi rossi») dei protagonisti della «Lunga Marcia» e della vittoria del 1949. Né gli mancavano intelligenza, disciplina, metodo, costanza. Nel 1968, a 15 anni, finì anche lui in campagna a zappare, secondo i ferrei dettami della Rivoluzione Culturale. Ma di notte studiava, tuffandosi tra le pagine dei classici dell'Occidente e mandando a memoria il Verbo di Carlo Marx. Così, quando la follia maoista venne spazzata via dalla storia, Xi cominciò la sua personalissima «Lunga Marcia» verso il potere.
Nel primo quinquennio da che è al potere, Xi ha avviato una serie di «purghe» all'interno del Partito comunista, rimuovendo diversi leader una volta ritenuti intoccabili nell'ambito di una profonda azione contro la corruzione dilagante. «Mosche da schiacciare», «tigri da stanare». Così, nel suo colorito vocabolario vennero definiti oltre un milione di piccoli burocrati e centinaia di pezzi grossi. E questo gli ha guadagnato anche la simpatia delle masse.
«In tempi di tempesta, non bisogna rifugiarsi nel porto del protezionismo, ma navigare nel mare aperto della globalizzazione». Così disse a Davos, lanciando la sua personale visione ultracapitalista (ammantata di un comunismo di cartapesta) di un pianeta ultra globalizzato. Da capo militare, sta modernizzando le Forze armate del Paese per renderle capaci di «combattere e vincere una guerra moderna». Un leader carismatico, colto, sofisticato, ma anche popolare. Capace di farsi fotografare in una trattoria da camionisti mentre mangia ravioli al vapore e wanton.
Sposato con la nota cantante Peng Liyuan, sua seconda moglie, è padre della giovane Xi Mingze, che ha studiato a Harvard sotto pseudonimo. Pragmatico fino al punto di cogliere il meglio di quel che ha da offrire il «nemico» americano.
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