La Presidenta incontentabile pronta a tutto per il Colle

Pontifica su ogni argomento (disabili, Schengen o Putin) per comparire su giornali e tv. E preparare il grande salto

La Presidenta incontentabile pronta a tutto per il Colle

Incontra i disabili sulle carrozzelle e dice: «Siamo tutti diversi». Poco prima aveva raccomandato ai colleghi politici: «Dobbiamo far pace coi cittadini». Il giorno precedente, sentenziando ulteriori ovvietà, aveva fatto trapelare il favore alle riforme renziane: «Il bicameralismo perfetto andava superato». Non riescono ad eleggere i giudici per la Consulta e suggerisce: «Cambiate schema». Dopo i fatti di Parigi, non perde una battuta. Avverte gli Usa e intima alla Francia: «Ci vuole più intelligence, no ad atti muscolari in Siria». Putin ne è intimidito: «Ogni bomba sganciata è un regalo a Daesh», ingiunge. Allo smarrito Schulz e alla scipita Mogherini spiega paziente: «Se cade Schengen, cade la Ue». I parlamentari, anche i più discoli e come tali bacchettati, sono un po' come i suoi figli; i figli della Casta. Guai a riprenderli per le ferie smodate. «La notizia è infondata», decreta. Subito dopo aver rassicurato il presidente Hollande e Papa Francesco: «Giusta la decisione di andare avanti con Cop 21 e Giubileo, nonostante il terrorismo». Non è un capo di Stato, non è il Califfo dell'Isis. Forse qualcosa di più: la presidente della Camera, Laura Boldrini. Pur non essendo ancora tempo di bilanci, non pare oziosa la domanda che serpeggia lungo i corridoi del primo piano di Montecitorio ripercuotendosi, a cascata, sull'intero Palazzo. «C'è del metodo in questa follia?»; questione che già intrigò lo shakespeariano Polonio, ciambellano del Re. Paragone esagerato? Non sembra, a considerare certi numeri sfoderati dalla Camera. Li elencheremo alla buona, come risalgono su dallo stomaco: i vicesegretari generali portati da due a cinque, e i capiservizio a nove, proprio ora che crisi a parte con la riforma di Renzi si andrà a formare un ruolo unico di dipendenti parlamentari; il nuovo concorso per la scelta del Capo dell'Ufficio stampa, nonostante siano almeno sette, a titolo più o meno ufficiale (c'è persino Gad Lerner), i consiglieri per l'informazione; i corsi tenuti qualche tempo fa per abilitare i (già) qualificatissimi barbieri interni al taglio delle chiome deputate, messe-in-piega comprese, senza peraltro che il gentil sesso abbia apprezzato il fondamentale passo avanti nella civiltà; le migliaia di risme di carta ristampate solo per poter veder scritto, finalmente, «la Presidente» al posto del vituperato e antiquato «il»; infine il pool di sette (numero magico) agenti di polizia ferroviaria adibiti a monitorare il Web per smascherare chi osi oltraggiare la terza carica dello Stato. Ci si ferma per non occupare diverse pagine; gli esempi, fior da fiore, sono sufficienti a trovare il filo conduttore. Chiunque potrà constatare che si tratta proprio di una brutta gatta da pelare. Ci si riferisce, naturalmente, all'incombenza di curare informazione ed immagine di una giornalista come la Boldrini, ancora in cerca di un centro di gravità permanente. Se non è stato affatto facile nei primi due anni di mandato, oggi la situazione è tornata in movimento perché la cura si sta facendo spasmodica, l'attivismo della Presidenta insopportabile, fino al punto da indire un nuovo concorso per il capo ufficio stampa. Il mandato della precedente, Anna Masera, scade il 31 dicembre, e la Boldrini ha deciso di non rinnovarlo. Nonostante la nomina della stessa, un paio d'anni fa, avesse suscitato un vespaio di polemiche. Alla Camera, difatti, consuetudine vuole che il Presidente che arriva piazzi il proprio uomo (o donna), assumendosene la responsabilità. O sceglie di conservare quello in carica, pur di non smuovere delicati equilibri. All'inesperta Boldrini invece fu fatto credere che fosse più cool indire una pubblica selezione, come aveva fatto nella storia soltanto il Senato nel lontano 2001 (subito dopo i partiti ripresero il sopravvento). Alla Camera, era il 2013, molti politici tentarono invece di fregare la Boldrini piazzando un loro «protetto». Prevalse invece, come previsto fin dall'inizio, la Masera, pur non avendo affatto esperienza istituzionale. Era legata alla Presidenta da saldi vincoli d'amicizia; la farsa fece imbufalire, tra gli altri, Pasqualino Laurito, decano dei cronisti parlamentari, che da ultraottantenne aveva inviato provocatoriamente il proprio curriculum pieno zeppo di benemerenze. Lo stesso molti altri giornalisti che il Palazzo lo conoscono da cima a fondo. Così la discrezionalità totale della selezione fu messa a nudo, a dispetto dello schermo di un apposito Comunicato per la Comunicazione. La settimana scorsa il presidente del comitato, Roberto Giachetti, si è dimesso accusando la presidenza di voler «attrarre la funzione nella propria orbita». Per fare ancora una volta la più bella del reame, e sfuggire alle critiche, la Presidenta ha dovuto rispolverare quella pagliacciata della «pubblica selezione» dai criteri alquanto discrezionali. Ma da dove deriva quest'ansia da prestazione (comunicativa)? Si dice che la Signora sia diventata incontentabile, oltre che incontenibile. Segno che anche dalle sue parti s'è cominciato a riflettere davanti allo specchio: che farò da grande? Giunta al soglio grazie a Nichi Vendola, l'ex portavoce dell'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati s'è guadagnata l'inimicizia persino di molti dei suoi compagni (oltre che dei grillini). L'incapacità a gestire i lavori d'aula, certe scelte nella Capigruppo, l'improvvisa sterzata verso Renzi, fanno capire che la Presidenta sta cambiando orizzonti. Altro che leadership della morente Sel o della costituenda Sinistra italiana (la cui esiguità la fa inorridire, lei abituata a trovare il lavoro bell'e fatto). Davanti allo specchio delle sue brame, la matrigna della Camera immagina due soli approdi alla propria altezza: Onu oppure il Colle che sta subito sopra Monte Citorio (per il quale se ne riparlerà tra sei anni: dunque c'è tutto il tempo per preparare con cura l'ascesa della prima donna). Così, sparito da un giorno all'altro dal proprio fianco il fidanzato di undici anni più giovane, che tante polemiche aveva suscitato (anche in questo caso, provocando per reazione una litania di vetero-femminismo), la Boldrini s'è messa in testa di sottrarsi alla maledizione di Montecitorio, quella che colpisce le donne e gli uomini della Seconda Repubblica arrivati sul podio della Camera. Dal destino assai ingrato toccato a Nilde Iotti (di cui la Presidenta si sente al tempo stesso incarnazione e vendicatrice) a Irene Pivetti, svanita nelle nebbie del cattivo gusto televisivo; da Violante a Casini; da Fini a Bertinotti. Tutti spariti dalla circolazione politica.

Malmostosa e priva d'ironia, perbenista e rigida, tesa alla propria affermazione passando per la più noiosa delle strade, quella del politicamente corretto, questa figlia d'un arcigno avvocato marchigiano che in casa faceva recitare il rosario in latino oggi cerca un'informazione in grado di supportare le proprie ambizioni. «Benché questa sia pazzia, pure c'è metodo in essa. Volete venir via dall'aria, mio signore?» (W. Shakespeare, Amleto, Atto II, Scena II).

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