Il prete rosso senza pietà: soldati mercenari

nostro inviato a Rovagnate (Lecco)

«Chi si è ricordato di Teresa Sarti, moglie di Gino Strada? Una grande donna, altro che i maschioni fascistoidi della Folgore!». Postato ieri pomeriggio, su www.dongiorgio.it. E meno male che venerdì sera lo aveva chiamato l’avvocato della Curia per richiamarlo - a bare delle vittime di Kabul non ancora rimpatriate - a una maggiore temperanza.
Lui, don Giorgio De Capitani, prete di Sant’Ambrogio a Monte, ha tolto dal suo sito il commento che aveva fatto arrabbiare il vescovo, quello in cui, a poche ore dalla strage, aveva chiamato il ministro della Difesa «La Russa del cazzo». Dopodiché lo ha rimpiazzato con quello sui «maschioni fascistoidi» caduti in Afghanistan. E, nel caso il pensiero non fosse sufficientemente chiaro, ha linkato il suo sito a quello di un altro sacerdote, il genovese Paolo Farinella, che prova «conati di rigetto» per il lutto nazionale: «I soldati morti sapevano che potevano morire ma sono andati ugualmente per scelta e per interesse economico, cioè per guadagnare di più».
Per capire come nella Chiesa italiana di oggi possa esistere un prete come don Giorgio De Capitani, non c’è altro da fare che arrampicarsi quassù, nel cuore della Brianza che più leghista non si più. Monte, frazione di Rovagnate, cinquecento anime. Una bella chiesa di sassi e una bella canonica. Dentro, in un marasma di libri e di computer, lui, don Giorgio. Che parla sommessamente, quasi con dolcezza. E che per spiegare il suo stupore davanti alla arrabbiatura della Curia dice: «Io ho sempre detto cose peggiori. I miei video sono su Youtube, basta andarli a vedere. Ho detto che Berlusconi è un porco. Anzi, un porcone. Anzi, uno stupratore. Eppure la Curia non mi ha mai detto niente. Invece stavolta mi hanno fatto chiamare dall’avvocato. E ci scommetto che non è finita qui. Stavolta me la faranno pagare».
Forse, don Giorgio, c’entra anche la scelta dei tempi. Come si fa a chiamare mercenari sei ragazzi appena ammazzati? «Pane al pane e vino al vino. Mercenario vuol dire che combatti a pagamento. E quelli cos’erano? Avevano chiesto loro di andare lì, erano pagati bene, sapevano cosa rischiavano. In questo Paese se muoiono centinaia di operai sul lavoro nessuno dice niente, invece se muoiono sei mercenari sembra una tragedia nazionale. Mi dispiace per le famiglie. Però è colpa dello Stato. Se uno fa quel mestiere non dovrebbe potersi sposare, così non saremmo qui a consolare orfani e vedove».
Così la pensa don Giorgio. Così predica ogni domenica dal pulpito della sua chiesa. E i fedeli come la prendono? «Qua è pieno di leghisti, molti non la pensano come me. Ma sanno che amo questo paese, e guai se io venissi toccato. E le mie messe sono sempre piene, anche se c’è qualcuno che viene solo per criticare». Come il fedele che qualche mese fa, al momento dell’eucaristia, rifiutò la particola e gli gridò in faccia «terrorista!».
Per il popolo dei no global e degli antagonisti, don Giorgio è un mito. Per i suoi superiori, un incubo. Ogni volta che don Giorgio apre bocca - dal pulpito o sul web - giù a Lecco monsignor Bruno Molinari, vicario episcopale, si mette le mani nei capelli. «Abbiamo cercato in tutti i modi - dice don Molinari - di convincerlo a usare se non altro un linguaggio più consono». Non avete avuto grandi risultati. «Direi di no».
Eppure don Giorgio è ancora al suo posto. Lo dice con un certo orgoglio: «Io sono uno dei quarantuno preti italiani che hanno firmato il documento contro la legge sul testamento biologico, una legge inumana e oscurantista. Ebbene, di quei quarantuno preti io sono l’unico che ha ancora una sua chiesa da seguire, un suo gregge. E sa perché? Perché io sono convinto che il mio cardinale in cuor suo la pensa come me. Ma non può dirlo».
Chissà come sarà contento Dionigi Tettamanzi. Anche perché della sua Chiesa don Giorgio ha un’opinione spietata: «La Chiesa in Lombardia è spaventosa». In che senso? «Ci sono un sacco di preti che votano Berlusconi o che addirittura votano Lega. E quelli che non sono d’accordo stanno zitti per paura. Così io sono l’unico che si espone e per questo verrò fatto fuori. Il Vaticano stava già per partire all’offensiva quando con gli altri quaranta abbiamo firmato il documento sul fine vita, poi fortunatamente è partita la campagna del Giornale sul caso Boffo e in Vaticano hanno avuto altro da pensare. Ma adesso ripartiranno. Prima ci chiederanno di abiurare, poi ci sospenderanno a divinis».
Fuori c’è l’odore dello stallatico, il bar con l’insegna «Osteria», la vita tranquilla del piccolo paese.

Dentro, varcata la soglia della canonica, la furia incontenibile, da Savonarola del pacifismo, di don Giorgio De Capitani. Fin quando durerà? «Siamo agli sgoccioli», dice lui. Ma finché non gli tolgono un pulpito, non starà zitto. Oggi, alle 11, messa e predica. In Curia si stanno disperando già adesso.

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