di Angelo AllegriL'anno scorso sono stati almeno 8mila e non era mai successo: un piccolo esercito di persone che ha deciso di appendere la toga al chiodo e di dire addio alla professione di avvocato, cancellando il proprio nome dagli elenchi dell'ordine. Tutti, o quasi, si sono mossi per lo stesso motivo: l'impossibilità di pagare i contributi minimi richiesti dalla Cassa Forense (il fondo pensionistico della categoria) a partire dal 2015. Più o meno si tratta di 850 euro l'anno, 70 euro al mese. Non una cifra proibitiva, ma per molti comunque troppo alta, visto che si andava ad aggiungere a tutte le altre spese legate all'esercizio della professione. Il dato delle cancellazioni può fare felice chi ritiene che in Italia gli avvocati siano troppi (siamo a quota 220mila e sono molti, anche tra gli stessi interessati, a pensarlo), ma è un segnale d'allarme significativo. Che non riguarda, tra l'altro, solo gli avvocati, ma un po' tutto il mondo delle professioni. «Gli architetti? Sono i nuovi poveri» ha dichiarato qualche tempo fa il presidente dell'Ordine Leopoldo Freyrie. E lo stesso grido di dolore arriva dai rappresentanti degli altri albi. I professionisti italiani sono le vittime più silenziose della grande crisi economica iniziata tra il 2007 e il 2008. E a testimoniarlo è arrivata, appena prima di Natale una ricerca(...)(...) dell'Adepp, l'associazione che riunisce le casse pensionistiche dei professionisti italiani, da quelle degli avvocati, appunto, fino a quelle di ingegneri, geometri o ragionieri. Le cifre sull'andamento dei redditi descrivono le tappe di una specie di Caporetto economica. CHI REGGE E CHI PRECIPITATra il 2005 e il 2014 il professionista italiano ha, in media, mantenuto a fatica i suoi livelli di reddito nominale, ma se si tiene conto dell'inflazione, la perdita in termini di reddito reale sfiora il 24%. Non tutti hanno segnato degli arretramenti così marcati. Medici, infermieri e veterinari, per esempio, si sono salvati: negli ultimi 10 anni il loro reddito reale è cresciuto del 7,1%. Commercialisti e ragionieri, un tempo considerati insensibili alle fluttuazioni del ciclo economico, hanno perso il 14%. Ingegneri ed architetti, alle prese con la più grande crisi edilizia dal dopoguerra, hanno perso il 22%, mentre la peggio è toccata proprio agli avvocati con un drammatico -35% del reddito depurato dall'inflazione (e anche a guardare solo il reddito nominale in questo caso il calo è del 23%). Se poi si guardano i dati nel dettaglio emerge con chiarezza chi sono i perdenti tra i perdenti: i giovani iscritti da poco tempo agli albi professionali. Fino almeno ai 35 anni (vedi anche la tabella in questa pagina) il reddito difficilmente supera i 1500 euro al mese. Come, e a volte perfino meno, di un buon operaio specializzato. Il caso più delicato e talvolta perfino drammatico è quello degli avvocati. «Io parlo spesso di proletarizzazione della categoria», dice Nunzio Luciano, presidente della Cassa Forense. «Colpa anche nostra, in passato avremmo potuto pensare a un accesso più ragionato alla professione», spiega. «Un po' come hanno fatto i medici con l'istituzione del numero chiuso nelle facoltà di medicina». Ora a ridurre i ranghi ci pensano, volontariamente, gli studenti: nel 2014 il calo delle iscrizioni a Giurisprudenza ha raggiunto una media del 22%. Ma i numeri restano comunque alti: in Italia siamo a 269 legali ogni 100mila abitanti, una cifra superata per quanto riguarda i grandi Paesi europei solo dalla Spagna (277). In Germania gli avvocati ogni 100mila abitanti sono 191, in Francia 84. LA MAZZATA DI MONTIAnche per colpa del livello di concorrenza la crisi nella Penisola ha colpito particolarmente duro. E a peggiorare le cose ci ha pensato la riforma della cassa di previdenza varata dal governo Monti e avviata in concreto alla fine del 2014. Fino a quel momento l'iscritto all'ordine che non raggiungeva un reddito di 10.300 euro l'anno era esentato dalla contribuzione alla Cassa Forense ed era invece tenuto a dei versamenti a una gestione separata dell'Inps. L'obbligo, spesso non osservato, era anche una forma di sostegno implicito e ufficioso ai giovani che iniziavano la professione (oltre che una sacca di evasione). Dopo la svolta tutti gli iscritti all'ordine che non versavano contributi alla Cassa (circa 50mila) sono stati iscritti d'ufficio con relativi obblighi. Le reazioni sono state accese.Su Facebook è nato un gruppo di protesta con oltre 2mila iscritti. E di fronte alle prime lettere di sollecito dei pagamenti, agli inizi del 2015, in molti hanno deciso di rinunciare all'iscrizione all'albo. «Sulla questione è ancora aperto un ricorso al Tar che sarà discusso nel mese di marzo», spiega Marco Pellegrino, giovane avvocato pugliese tra gli animatori della resistenza all'obbligo di iscrizione alla Cassa Forense. «Ma la novità è un colpo basso per molti giovani professionisti. Se non si è figli o parenti di avvocati per avviare uno studio ormai ci vogliono minimo sei o sette anni e in questo periodo i redditi rimangono a un livello di sussistenza». Da parte sua la Cassa ha cercato di rendere meno traumatico l'impatto delle nuove norme riducendo i contributi fino ai già citati 850 euro (in questo caso, però, per ogni anno di contributi versati vengono riconosciuti solo sei mesi di anzianità contributiva). «La strada poteva essere diversa», conclude Pellegrino. «Per esempio fare come ha fatto Inarcassa, la cassa degli architetti: far corrispondere i contributi al reddito effettivo».GLI INDEBITATIQuanto agli architetti, in realtà non è che se la passino particolarmente bene nemmeno loro. Secondo dati del Cresme e dell'Ordine di Torino relativi al 2014 tra gli iscritti all'ordine il tasso di disoccupazione è del 30%, il reddito di ingresso è sì e no di 800 euro e dopo cinque anni di professione gli emolumenti si aggirano sui 1.500 euro. Farsi pagare dai committenti è diventato un problema gravissimo: i tempi medi di attesa sono di 217 giorni se il cliente è pubblico, 172 nel caso di privati. Non sorprende, vista la fatica fatta a incassare, che il 57% degli studi professionali abbia debiti con banche, istituzioni finanziarie o fornitori. Vista la situazione c'è chi tenta di correre ai ripari. In una recente audizione parlamentare il numero uno di una delle maggiori associazioni di settore, Confprofessioni, Gaetano Stella, ha passato in rassegna una serie di possibili interventi di sostegno: politiche di agevolazione per le startup di professionisti e per l'innovazione tecnologica; finanziamenti agevolati per le spese di avviamento di uno studio o per la sua ristrutturazione; la possibile creazione di un fondo di solidarietà interprofessionale tra le varie casse pensionistiche che possa permettere agli iscritti di superare i peggiori periodi di crisi. Sarebbe, questa, una novità fino a qualche tempo fa impensabile: una sorta di cassa integrazione professionale.Nell'attesa, però, i soldi non girano. Nemmeno per pagare i contributi pensionistici: secondo un'inchiesta pubblicata di recente dal Sole24Ore i professionisti inadempienti sono aumentati nettamente con la crisi. Nella relazione dei sindaci della Cassa ragionieri si legge che «la percentuale della popolazione morosa si aggira intorno al 50%». I crediti da riscuotere sono 430 milioni. Quanto alla Cassa dei Geometri i soldi da incassare sono aumentati «in maniera esponenziale» negli ultimi tre o quattro anni e hanno raggiunto un ammontare di 600 milioni. La maggior parte degli enti pensionistici ha predisposto piani di rientro rateali e stretto accordi con le banche.
Gli istituti di credito prestano soldi ai professionisti in difficoltà nei versamenti. «Ma il problema è uno solo», sospira il funzionario di una cassa, «non è che non vogliano pagare. È che proprio non ce la fanno». Angelo Allegri- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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