Le collusioni mafiose e il malaffare politico in Sicilia non incuriosiscono mai gli antiberlusconiani in servizio permanente effettivo quando cè da dibattere su determinate responsabilità penali e/o morali di personaggi del centrosinistra. A Report come ad Annozero, da Fazio o sul divano della Dandini, ossessionati come sono da San Ciancimino jr e da tutto ciò che porta sempre e comunque a Mangano e DellUtri (stranamente non più al governatore Lombardo che ora strizza locchio al Pd), difficilmente trovano spazio storie come quelle che raccontiamo oggi prendendo spunto dallennesimo jaccuse lanciato da un antiberlusconiano doc come Giuseppe Arnone, storico dirigente di Legambiente, politico di spicco del partito democratico agrigentino. Da alcune settimane lesponente «verde» del Pd ha dichiarato guerra allunico candidato locale alla segretaria provinciale piddino, Emilio Messana, espressione del deputato Pd Angelo Capodicasa, colui che, secondo Arnone, ha impedito che ci fosse «una barriera allinfiltrazione mafiosa e ai comportamenti mafiosi o para-mafiosi» dentro il partito agrigentino. E lha dichiarata anche perché due dei più stretti collaboratori di Messana sono stati condannati per falso in atto pubblico per aver falsificato delle firme nelle ultime elezioni regionali.
Lesponente «verde» del Pd sottolinea come uno dei due condannati ha dichiarato che fu proprio Messana ad avallare loperazione. Tutto ciò, attacca Arnone, non ha impedito al segretario regionale Giuseppe Lupo, di appoggiare la candidatura di Messana. Non solo. Secondo Arnone è stato proprio Lupo a convincere gli scettici a cambiare idea. E fra questi si annoverano uomini della corrente dellex presidente dellAntimafia, Giuseppe Lumia, o veltroniani doc.
Per rendere note le presunte malefatte del Pd isolano, Arnone sta girando lisola con furgoni a cui ha appiccicato manifesti 6x3. In uno si rivolge a Bersani per dirgli che «Messana ha commesso reati e imbrogli su mandato dei suoi capi locali (
) ed è per questo che sono costretto a raccontare un contesto scellerato di imbrogli e ricatti, di violazioni penali e di statuti (
)». In un altro poster Arnone, rivolto a Lupo, non le manda a dire: «Caro Peppino, Messana andrebbe espulso dal Pd. Non possiamo essere tanto farisei da essere daccordo con gli editoriali di Roberto Saviano sulle elezioni truccate e la democrazia violata quando i delinquenti sono berlusconiani e garantire copertura e impunità quando le lordure, le illegalità e le collusioni sono dei nostri dirigenti».
Le accuse di Arnone sono devastanti: «Non posso tollerare che il mio partito stia nelle mani di chi è aduso (
) a fornire copertura e a stipulare alleanze con soggetti che ruotano attorno al mondo della mafia». Secondo Arnone, Di Benedetto e Capodicasa sono vicinissimi a Calogero Gueli, ex sindaco di Campobello di Licata, condannato in primo grado a 3 anni per 416 bis (assolto in appello) insieme al figlio Vladimiro. Fatti gravissimi, quelli denunciati da Arnone. Fatti preceduti negli anni da rivelazioni esplosive sui presunti rapporti fra Cosa Nostra e uomini del Pci-Pds-Ds condensate nel libro «chi ha tradito Pio La Torre?», dove se la prendeva prima col senatore Vladimiro Crisafulli (posizione archiviata) filmato dal Ros mentre parlava col boss di Enna, Raffaele Bevilacqua, eppoi con il deputato del Pd Angelo Capodicasa che a detta di Arnone aveva fra i collaboratori Stella Capizzi, moglie di Antonino Fontana, lex vicesindaco comunista di Villabate citato dal quel pentito Campanella che trovò invece spazio in tv per le sue accuse allex governatore Totò Cuffaro.
E chissà che un giorno, in prima serata, qualcuno si dedichi al filone rosso della mafia e del malaffare siciliano partendo, ad esempio, da quel che disse Giovanni Brusca al processo DellUtri sulle stragi («la sinistra sapeva») oppure approfondisca il tema del proprietario del covo di Totò Riina a Palermo: un comunista figlio di comunista, Giuseppe Montalbano, figlio dellomonimo deputato Pci degli anni 50.
(ha collaborato
Luca Rocca)
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