La morte del giovane colpito dai calcinacci staccatisi dalla galleria Umberto di Napoli deve indurre a qualche riflessione, anche perché questo è solo l'ultimo di tanti episodi. Qualche anno fa fece discutere la morte di un ragazzo, Vito Scafidi, ucciso a Rivoli dal cedimento del soffitto dell'aula del liceo. La scorsa estate una donna morì a causa del crollo di un albero, che si abbatté sulla sua autovettura. Ma l'elenco di analoghe tragedie sarebbe troppo lungo.
Un dato è chiaro: l'apparato statale è esigente fino all'inverosimile nei riguardi dei privati, che vengono vessati da norme che - dalla famigerata 626 del 1994 in poi -quasi impediscono ogni genere di iniziativa, mentre è del tutto incapace di gestire in maniera responsabile ciò che è sotto il suo controllo. È di queste ore lo sfacelo del fiume Seveso, che è esondato a Milano causando danni di varia natura, e tale disastro è da imputarsi ad anni di incurie da parte delle amministrazioni pubbliche di ogni colore.
Tutto ciò è grave, dato che uno dei pilastri dei nostri sistemi politici - che si parli di rule of law, come nel mondo anglosassone, oppure di Stato di diritto, come da noi, in Francia o in Germania - è che tutti devono sottostare alle medesime regole. Non esiste insomma un sistema legale per i governanti e uno per i governati, ma l'intera società dovrebbe essere vincolata al rispetto delle stesse norme. La cronaca ci dice che, in realtà, questo è però ben lungi dall'essere vero.
Lo Stato è un pessimo amministratore delle cose che possiede: è noto. Ma per di più moltiplica leggi che noi dobbiamo rispettare e che esso costantemente ignora.
Il danno è duplice. Come proprietario, lo Stato non è in condizione di agire come dovrebbe, dal momento che nessuno (politico o burocrate) è davvero motivato a esercitare quel controllo e sviluppare quell'attenzione che è propria dei veri titolari: dei proprietari. Come regolatore, inoltre, con la sua azione esso finisce per deresponsabilizzare imprese e famiglie (che più alla sicurezza reale devono mirare, a questo punto, all'adempimento delle formalità di legge) e per bloccare le iniziative di imprese e famiglie. E quando una società non cresce perché si trova intralciata da ogni sorta di regolamento, è fatale che anche il livello della sicurezza finisca per scadere.
Qualcuno si è chiesto, ed è nato pure un libro, cosa sarebbe diventato Steve Jobs se fosse nato in Italia. La risposta è semplice: con questo Stato e questa burocrazia non avrebbe potuto costruire nulla e si sarebbe perso nei meandri di imposizioni e divieti.
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