Una mole incredibile di dati personali è già confluita nella banca dati dell’Anagrafe Tributaria e molti altri dati arriveranno a breve quando sarà stato definito il software per la trasmissione di tutti i rapporti e di tutte le operazioni di natura finanziaria: ciascun contribuente sarà spiato in ogni aspetto della sua vita lavorativa, familiare, ricreativa, per stimare quanto dovrebbe guadagnare all’anno per poter fare ciò che al Fisco risulta aver fatto; se qualcosa non quadra, dovrà andare a giustificarsi davanti a qualcuno interessato soltanto a raggiungere il budget annuale assegnato al suo ufficio e a maturare gli incentivi economici legati ai maggiori tributi recuperati. L’economia sta andando a rotoli, il danaro circola sempre meno, gli insoluti non si contano più, la produzione cala inarrestabilmente, i disoccupati aumentano giorno per giorno, i più fortunati tirano avanti perché utilizzano i risparmi accumulati nel tempo, i meno fortunati non arrivano neppure alla metà del mese e non sanno dove sbattere la testa e lo Stato che fa? Si inventa il «Redditest», liberamente fruibile da tutti i contribuenti per verificare se risultano virtuosi o se debbono considerarsi evasori.
Proprio adesso che il Paese sta andando a picco? Per carità, tranquillizza Attilio Befera (nella foto), direttore dell’Agenzia delle entrate (che con quello che guadagna certamente non ha problemi col «redditest», come del resto tutto quel popolo fortunato dei vari parlamentari, amministratori, dirigenti, superpensionati): l’eventuale situazione di anomalia non vuol dire che scatta automaticamente l’accertamento tributario! Il contribuente verrà prima chiamato dal fisco per giustificare come mai si è verificata quella incresciosa situazione e troverà certamente qualcuno che comprenderà, ma non potrà fare nulla perché mancherà il pezzo di carta adatto o perché la direttiva interna dell’Ufficio non lo consentirà o perché la circolare lo vieterà. Alla fine del teatrino si troverà nella cassetta della posta un bell’accertamento tributario con tanto di sanzioni (il minimo è sempre pari al 100% dei tributi richiesti!) con un bel po’ di soldi da pagare all’Erario e con un sacco di istruzioni su come tentare di farsi ridurre la pretesa con gli appositi strumenti deflattivi del contenzioso (tentativo di adesione o mediazione obbligatoria). Meno male, così forse ci sarà qualcuno più disponibile che magari annulla tutto!
Ricomincerà un altro teatrino simile a quello precedente dove però il povero contribuente si troverà nella condizione di dover scegliere se accettare la proposta dell’Ufficio (che pure riterrà ingiusta, ma almeno ridurrà ad un terzo l’importo delle sanzioni ed eviterà di dover affrontare un giudizio comunque oneroso) oppure se impugnare l’accertamento davanti al giudice accettandone tutti i rischi, pagandosi il difensore chissà per quanti gradi di giudizio e intanto versando, prima di cominciare, un terzo dei maggiori tributi richiesti che poi, se avrà ragione, gli sarà restituito. Un bel compromesso con la coscienza che vorrebbe ribellarsi, ma che alla fine, se la pretesa non sarà esagerata, cederà al ricatto con l’amaro in bocca e con tanta rassegnata delusione.
Tutto questo accadrà nella assoluta legalità, perché è la legge dello Stato ad aver creato un sistema adatto per poter esercitare legittimamente un vero e proprio potere estorsivo in nome della lotta all’evasione, enfatizzata dalla propaganda di un sommerso che non sente crisi (275 miliardi di euro dicono oggi, ma erano altrettanti anche nel 2006, quando il duo Visco-Bersani ha iniziato la caccia ai lavoratori autonomi. Com’è possibile?). Se non ci fosse la legge, forse, ci sarebbe l’art. 629 c.p.
secondo il quale chiunque, mediante «… minaccia, costringendo taluno a fare … qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione…».
di Manuel Seri, Presidente Movimento in Difesa dei Lavoratori Autonomi
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