Questa crisi uccide. Finora conoscevamo le tragedie di disoccupati, creditori, piccoli imprenditori che a decine si sono tolti la vita in questi anni, incapaci di reggere il peso di un dissesto improvviso. Decisioni disperate, morti solitarie, spesso avvolte dal silenzio o talvolta fin troppo annunciate. Ma ora si profila l'ombra di una nuova emergenza, di altre morti indotte dalla crisi economica: quelle di migliaia di anziani che si lasciano andare perché rinunciano a curarsi non avendo soldi per comprarsi le medicine. Un fenomeno ancora poco conosciuto e studiato, che prende corpo analizzando gli ultimi dati dell'Istat sulla mortalità in Italia. L'allarme è stato lanciato dal professor Gian Carlo Blangiardo, docente di demografia all'università di Milano Bicocca. Blangiardo ha rilevato una crescita senza precedenti del numero di morti da gennaio ad agosto 2015. Rispetto all'analogo periodo del 2014 i bilanci demografici mensili dell'Istat rilevano 45mila decessi in più, per la gran parte di donne anziane, con un picco tra gennaio e marzo e poi a luglio. Proiettato sull'intero anno, il numero sfiorerebbe i 68mila: dai 598mila del 2014 a 666mila. L'aumento è di oltre l'11 per cento. Un dato impressionante. «Ciò che lo rende del tutto anomalo - ha scritto Blangiardo sull'Avvenire e poi sul sito Neodemos.info - è il fatto che per trovare un'analoga impennata della mortalità, con ordini di grandezza comparabili, si deve tornare indietro sino al 1943 e, prima ancora, occorre a risalire agli anni tra il 1915 e il 1918». Ma qui non siamo in guerra né nel dopoguerra, non ci sono epidemie di Spagnola, il benessere è diffuso (nonostante la crisi). Per Blangiardo il balzo della mortalità è un segnale angosciante. L'ipotesi è terribile: i tagli alla sanità pubblica decisi dagli ultimi governi potrebbero avere accresciuto il rischio di morte nelle persone più anziane, le più fragili, più sole, più colpite dalla povertà sanitaria. Ovvero il fenomeno per cui un crescente numero di italiani evita di curarsi perché non può più permetterselo.
IL RECORD NERO
Esagerazioni? Guardiamo i numeri. La dinamica del progressivo invecchiamento della popolazione giustifica un aumento di 16mila morti nel 2015: e gli altri 52mila? «Una piccola parte spiega il demografo della Bicocca al Giornale si può spiegare con una sorta di effetto ritorno. Nei due anni precedenti il clima invernale era stato clemente e appena è tornato rigido ha falcidiato la popolazione più a rischio». Esiste tuttavia un fattore molto più preoccupante: il calo delle vaccinazioni antinfluenzali registrato l'anno scorso. Nel 2014 si era sollevata un'ondata di polemiche sui vaccini ritenuti pericolosi. Un allarme totalmente infondato, che tuttavia ha avuto pesanti conseguenze. Molti anziani non vi hanno fatto ricorso per paura e in un inverno freddo i problemi respiratori possono essere letali. Gli esperti stimano in 8-10mila il numero di morti provocato dalla mancata profilassi immunitaria. La mortalità è in aumento anche in altri Paesi europei. Secondo i dati oggi disponibili, nel Regno Unito l'incremento è del 7,1 per cento, in Francia del 7,7 e in Spagna del 10,7: nessuno raggiunge il picco italiano. Da noi succede qualcosa che le statistiche ufficiali non riescono a cogliere. Le rilevazioni Istat con le caratteristiche delle cause di morte per età e genere si avranno non prima di un anno. Ma è evidente già ora un qualcosa di strutturale nel fenomeno: l'invecchiamento, il clima, le epidemie influenzali e ancor meno l'inquinamento (contro cui ha puntato il dito Beppe Grillo) non spiegano un rialzo così consistente del numero di morti.
LA SPACCATURA SOCIALE
Ed ecco il sospetto più drammatico. Scrive il professor Blangiardo: «Il controllo della spesa sanitaria sempre a qualunque costo, in un momento di recessione economica, può avere effetti molto pesanti sul già fragile sistema demografico». I tagli alla sanità pubblica forse abbelliranno i bilanci delle regioni, ma condannano le fasce più deboli della popolazione. Un'ipotesi «non peregrina ma inquietante» secondo Giorgio Vittadini, ordinario di statistica metodologica anch'egli alla Bicocca, che cita papa Francesco e i suoi richiami contro «la velenosa cultura dello scarto e la realtà dell'abbandono degli anziani», una sorta di «eutanasia nascosta». «Si teorizza da tempo - ha scritto Vittadini su Ilsussidiario.net - che curare gli anziani è incompatibile con il contenimento della spesa pubblica, e di fatto, se sono poco abbienti, si fa a meno di prendersi cura di loro. I fondi in diminuzione che rimangono alla sanità si concentrano su chi rende, la fascia attiva e giovane, oppure, come fanno alcune regioni italiane in perenne deficit sanitario e assistenziale, si utilizzano per perpetuare lucro, sprechi e privilegi».
La corsa della povertà sanitaria è stata rilevata dal Censis e da una ricerca di Altroconsumo. I dati più significativi, rilevati «sul campo», sono quelli del Rapporto 2015 dell'Osservatorio donazione farmaci, promosso dal Banco farmaceutico, l'organizzazione non profit che raccoglie medicinali per i meno abbienti. Secondo il Rapporto, presentato a dicembre, un abisso separa le famiglie sotto la soglia di povertà dalle altre quanto alla spesa farmaceutica. Una famiglia sopra la soglia (che oggi corrisponde a un reddito di circa 7.500 euro netti all'anno, cioè poco più di 600 al mese) sborsa in media 43 euro al mese dal farmacista: nelle altre famiglie, invece, la spesa per i medicinali precipita a 11,82 euro. Quattro volte meno.
LO SPRECO NON SI TOCCA
Nelle famiglie non povere la spesa sanitaria complessiva (che comprende anche esami, visite, cura dei denti) assorbe il 3,8 per cento dei redditi mentre in quelle povere si scende all'1,8. Ci si cura sempre meno, anche quando sarebbe necessario, e ci si espone a rischi crescenti. Il 4 per cento degli italiani ha rinunciato ad acquistare farmaci necessari per ragioni economiche: perché i ticket sui medicinali sono troppo alti (fra il 2010 e il 2014 sono cresciuti del 33 per cento) oppure perché non si possono permettere i farmaci da banco non mutuabili. Non si parla dunque di vaccini, che agli anziani vengono passati dal Servizio sanitario. Il dato medio conosce profonde differenze tra regione e regione. La rinuncia alle cure è più alta nelle zone che presentano la maggiore povertà, cioè nel Mezzogiorno: Calabria (7,5 per cento), Puglia (6,8), Sicilia (6), Sardegna (5,4), Campania (4,9) e su su fino al tranquillo Trentino Alto Adige. Contro la povertà sanitaria il Banco farmaceutico è impegnatissimo a raccogliere medicinali da aziende, farmacie e privati: sabato 13 febbraio si svolgerà la sedicesima Giornata nazionale di raccolta del farmaco. Ma se aggiungiamo anche le conseguenze dei disservizi sanitari, il quadro è ancora più critico. Le liste d'attesa interminabili e l'eccessiva distanza dai centri di primo soccorso e di cura, uniti all'elevato costo delle prestazioni, inducono un italiano su sei a rinunciare alle terapie: questo dice l'Ufficio parlamentare di bilancio.
Il 18,6 per cento delle famiglie più povere ha eliminato anche le spese del dentista. I dati si riferiscono al 2013, quindi sono un effetto della scure sulla sanità calata dal governo Monti. Dovevano essere tagli agli sprechi, invece hanno inciso nella carne di milioni di italiani. Risparmi da morire.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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