Sakùntala, leggenda immortale

Pietro Acquafredda

Sakùntala, giovane bellissima e sacerdotessa, allevata dal saggio Kanva, folgora il re che la incontra durante una battuta di caccia e come pegno d’amore le dona un anello. L’amore distrae la sacerdotessa dai suoi doveri e per questo si attira una maledizione dall’anziano eremita cui Sakùntala non ha aperto le porte del tempio: chi ti ama ti dimenticherà!
L’anziano eremita, in seguito, attenua la sua maledizione: il re la riconoscerà se gli mostrerà l’anello ricevuto come pegno d’amore. Sakùntala scopre di essere incinta e chiede di essere accompagnata nella reggia, ma giunta in presenza del re si accorge di aver perduto l’anello e, di conseguenza, il re non la riconosce. La memoria gli tornerà quando un pescatore porterà l’anello ritrovato sul greto del fiume. Ma è troppo tardi. Sakùntala, è stata vista dissolversi nel fuoco; ma ha un figlio e il re un erede, davanti al quale il mondo si inchinerà.
La leggenda di Sakùntala, tratta dal dramma del poeta indiano Kalidasa, del quinto secolo, aveva già affascinato altri musicisti - si hanno frammenti di una Sakùntala anche di Schubert - prima di Franco Alfano, musicista napoletano, nato a Posillipo nel 1876. L’originale indiano glielo aveva aveva fatto conoscere un giornalista del Corriere della Sera, Giovanni Pozza, e Alfano, anche sull’onda dell’esotismo di moda, si era appassionato al soggetto, traendone un’opera in tre atti - titolo originale: La leggenda di Sakùntala - che esordì a Bologna il 10 dicembre del 1921, con grande successo, e fu ripresa immediatamente dopo le repliche bolognesi, anche a Napoli, a Buenos Aires, a Milano, a Dusseldorf e ad Anversa.
Fu proprio a causa di Sakùntala - opera esotica, di folgorante e ricca strumentazione, dal recitativo sinuoso, per il quale la si accostò alle Chansons di Bilitis di Debussy - che alla morte di Puccini, nel 1924, Toscanini, gli eredi di Puccini e casa Ricordi decisero di affidare al musicista napoletano il completamento di Turandot. Alfano lavorò con passione e totale dedizione agli appunti di Puccini e consegnò il suo finale senza che avesse mai potuto visionare la partitura dell’opera, nelle parti già complete. Le discussioni e le polemiche che seguirono al battesimo scaligero di Turandot, nelle quali una qualche responsabilità ebbe anche Arturo Toscanini che, la sera della prima, tralasciò il finale di Alfano, terminando l’opera laddove Puccini era giunto a strumentarla (la morte di Liù), fecero di Franco Alfano il «Sussmayr» di Puccini ma anche il suo «traditore», facendo completamente dimenticare il compositore in proprio Alfano, oggi oggetto di grande attenzione (recentemente è stato ripreso, a New York, il suo Cyrano di Bergerac che nelle prossime stagioni arriverà anche a Roma, con Placido Domingo nel ruolo del titolo).
Sakùntala (nuovo titolo e nuova versione) fu ripresa negli anni Cinquanta a Roma e successivamente anche all’estero.

Ora, per volontà di Gianluigi Gelmetti, direttore e regista, ritorna finalmente La leggenda di Sakuntala nella versione del 1921. Protagonisti Francesca Patanè e David Rendall. Scene di Maurizio Varamo, costumi di Anna Biagiotti.
Da venerdì 21 all’Opera di Roma.
Repliche fino al 28 aprile. Informazioni: 06.481601.

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