da Milano
Bisogna farci labitudine. A guardare quel volto alla Marty Feldman (è lui stesso a schermirsi come quasi sosia di «un mediocre attore inglese»), ad ascoltarne leloquio forbito, lincedere timido della voce interrotta dalle «sss» sibilanti colpa di un difetto di pronuncia, a scorrerne la bibliografia chilometrica, e poi prepararsi a tuttaltro. Perché il poeta Edoardo Sanguineti, se dovesse scegliere, preferirebbe somigliare ad un rapper di strada piuttosto che a Pascoli o Carducci. E anche in politica, da candidato della sinistra radicale al Comune di Genova, il letterato ha definitivamente scelto lo stesso registro, quello della provocazione e dello sberleffo per «scuotere il borghese», come insegna lavanguardia letteraria di cui è stato capofila negli anni 60. Dopo aver detto di voler «restaurare lodio di classe nei confronti dei padroni» mettendo in imbarazzo tutta la sinistra ligure, Sanguineti ha prodotto unaltra strofa rap, in unintervista a La7: «Quelli di Tienanmen - ha spiegato il poeta - erano veramente dei ragazzi poveretti, sedotti da mitologie occidentali, un poco come quelli che esultarono quando cadde il muro; ma insomma, erano dei ragazzi che volevano la Coca-Cola». Sanguineti, giocoliere della parola (la sua opera in Italia è stata la bibbia della sperimentazione linguistica) non ha ancora preso bene le misure con la politica che, a differenza della poesia, prevede repliche e concede meno licenze. La replica infatti è arrivata subito dal centrodestra. Il senatore della Lega Nord Stiffoni ha consigliato a Sanguineti «un buon psichiatra che gli spieghi che siamo nel 2007, in Italia e non a Pyongyang». «Negazionista» secondo il capogruppo dellUdc alla Camera Luca Volontè, che aggiunge: «È semplicemente vomitevole negare che i ragazzi di Tienanmen manifestarono per la libertà. Fa parte della violenza censoria del comunismo». È vero daltronde che Sanguineti non rinnega affatto la sua appartenza ideologica. In una lectio magistralis per i 91 anni di Ingrao, dal titolo «Come si diventa materialisti storici», il candidato sindaco di Rifondazione descrive la fine del Pci come un fatto terribile, «un evento di cui tutti stiamo ancora pagando il prezzo». Col Pci è stato eletto consigliere comunale a Genova, nel 1976, e poi alla Camera come indipendente. «Nel 1979 il Pci mi chiese se volevo presentarmi in Parlamento - racconta - accettai perché nessuno ne aveva troppo voglia proprio per il clima e il pericolo che si correva e perché nellemergenza non sono abituato a tirami indietro». Erano gli anni della contestazione e chi come lui a sinistra, nelle università, si schierava col partito contro quei «piccoli borghesi che volevano scardinare il mondo e sono finiti nella lotta armata», era in minoranza.
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