Se la censura fa sparire i "negri" di Mark Twain

Idiozie politcally correct. Nella nuova edizione di "Huckleberry Finn", il termine scomodo è sostituito da "schiavo"

Se la censura fa sparire 
i "negri" di Mark Twain

Nella nuova edizione americana del capolavoro di Mark Twain sarà sostituita da «schiavo».

La decisione di ripulire il li­bro dalle 219 (alcuni dicono 217) occorrenze del termine incriminato è ispirata al peg­gior conformismo da univer­sità americana, ormai terreno di conquista dei cultural studies . Trattasi di un insieme di discipline che leggono qualsiasi testo letterario attraverso le lenti della sociologia, dell’etnicità, del razzismo, del femminismo. Alla base, c’è l’idea (rafforzata negli Usa dal successo di filosofi francesi come Derrida, Foucault e soci) che la cultura occidentale sia per sua natura oppressiva e colonialista, un puro strumento di potere a uso della cattivissima borghesia. Controllare il linguaggio significa controllare le masse.Quindi,compito dell’intellettuale è smontare il linguaggio per smascherare l’inganno e liberare il popolo.

Le ricadute sul nostro vocabolario (diversamente abile, non vedente, non udente, non deambulante, afroamericano, operatore ecologico, collaboratore scolastico, paesi emergenti e via elencando) sono solo l’effetto più evidente di un processo molto più profondo. I cultural studies, che qualcuno cerca di importare dalle nostre parti, sono infatti una specie mutante di marxismo. (Antonio Gramsci è un nume tutelare del settore). Non a caso, i discorsi di Nichi Vendola ne recano evidenti tracce, soprattutto quando partono per la tangente (vedi l’esilarante e istruttiva rubrica del Foglio «Nichi, ma che stai a di’?»ove sono trascritti passi degli incomprensibili libri - il prossimo in arrivo a giorni per Fandango - del governatore). Robert Hughes, grande critico d’arte, considera i cultural studies «un inganno che può attecchire soltanto sul terreno del fanatismo e dell’ignoranza». Harold Bloom, maggior critico letterario vivente, li rubrica alla voce «incredibili assurdità». Difficile dare loro torto. Comunque, al di là delle opinioni, ecco il risultato oggettivo di tanta scienza: una bella (si fa per dire) sbianchettata delle avventure di Mark Twain, lette da generazioni di adolescenti di tutto il mondo. I quali non risulta si siano trasformati automaticamente in membri del Ku Klux Klan. Non importa, fuori «negro» e dentro «schiavo».

La parola «negro» («nigger» in inglese) ai tempi di Huckleberry Finn , uscito negli Stati Uniti nel 1884, era espressione di uso comune. Oggi è considerata un insulto razzista. Per questo la casa editrice NewSouth Books ha deciso di ritoccare il testo per renderlo politicamente accettabile. Il professor Alan Gribben, responsabile della nuova edizione, intervistato da Publishers Weekly , bibbia dell’editoria anglosassone, ha smentito qualsiasi intento censorio: «Nessuna intenzione da parte mia di purgare Twain. Le critiche sociali presenti nel testo restano tali; lo humour dell’autore è intatto». Ma allora perché ha sentito il bisogno di intervenire? «Leggendo il testo ad alta voce, avvertivo sempre più il disgusto per le connotazioni razziali evocate dalle parole dei giovani protagonisti del romanzo ». Insomma: in Twain, finanziatore di associazioni antirazziste come la nascente Naacp (National Association for the Advancement of Coloured People), ci sarebbe «un abuso di insulti razziali». Roba da far accapponare la pelle, e non solo ai filologi, perché l’operazione ricorda un po’ le modalità con le quali, nel 1984 di George Orwell, il partito riscriveva la storia «aggiornando» i quotidiani e i libri. Lasciando «intatto» il contesto, s’intende. Mah.

Il contesto in realtà risulta drasticamente impoverito: nel romanzo Huck è dalla parte dei «negri», dell’amico Jim in particolare. Ma se i «negri» scompaiono, e diventano generici «schiavi», si toglie forza alla denuncia. Povero Twain, oltre al danno, la beffa. C’è infatti un particolare che rivela quanto la soppressione di «negro» a vantaggio di «schiavo» sia una completa idiozia.

Alla fine del libro lo «schiavo» Jim viene affrancato. A quel punto, non è più «schiavo» ma è ancora «negro», e il professor Gribben, sbianchettatore politicamente corretto in forze alla Auburn university di Montgomery, si trova in un mare di guai.

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