Per gli imbianchini incaricati di dare una rinfrescata a porte e pareti del padiglione della Biennale di Venezia, Marcel Duchamp era solo l’ex calciatore francese della Juventus. Certo, quello si chiamava Didier Deschamps, ma loro non erano tenuti a saperlo. Fu così che i nostri eroi - armati di vernice, pennelli, scala (e con la Gazzetta dello Sport nella tasca posteriore della tuta) - quando videro la «Porta» di Duchamp pensarono bene di darle una doppia passata di bianco. «Vedrete che faremo un figurone e, a lavoro finito, Deschamps ci regalerà una sua bella foto autografata dei tempi in cui la Juve era uno squadrone, altro che la decrepita Signora di oggi...», assicurò l’imbianchino-capo.
Purtroppo non andò così. A tinteggiatura ultimata gli imbianchini si trovarono infatti davanti all’imprevisto svenimento del responsabile del padiglione di arte contemporanea che, prima di stramazzare a terra privo di sensi, ebbe appena il tempo di dire: «Pazzi che non siete altro, ma che cosa avete fatto? Quella porta era un’opera d’arte! Valeva centinaia di milioni!». «Un’opera d’arte? Centinaia di milioni?», ripeterono increduli gli imbianchini, sbiancando in volto.
Non si tratta di una barzelletta. È la semplice cronaca di quanto avvenne in una tragicomica mattina di 30 anni fa alla Biennale di Venezia. Ma perché ritirare fuori questa vecchia storia risalente al 1978? La novità è che solo adesso - alla buon’ora - si è giunti al redde rationem. Il «colpevole» dell’increscioso incidente (cioè l’esperto che doveva sovrintendere alla sicurezza dell’opera di Duchamp) è stato chiamato dai giudici a risarcire il danno. Beh, proprio lui in persona no (nell’attesa della sentenza, il «reo» è ormai morto), ma i suoi eredi sì: familiari che avranno di sicuro un motivo in più per serbare un carissimo ricordo del carissimo estinto. Una mazzata non indifferente, considerata la superstima economica di «11 Rue Larrey, Paris» (questo il titolo esatto della Porta di Duchamp «restaurata», loro malgrado, dagli imbianchini veneziani). Una beffa resa ancor più paradossale dalla citazione che corredava la «Porta» duchampiana: «L'atto creativo non è compiuto esclusivamente dall'artista. Lo spettatore porta l'opera a contatto con il mondo esterno decifrandone e interpretandone le caratteristiche interne, e in questo modo apporta il suo contributo all'atto creativo». Frase su cui gli imbianchini si erano soffermati appena qualche secondo, evidentemente non cogliendone il senso più recondito.
Ma il fraintendimento che ha originato la divertente gaffe, offre l’occasione anche per una domanda più seria: come si fa a riconoscere un’opera d’arte da un semplice oggetto della quotidianità? La nostra risposta è semplice: non lo sappiamo. Insomma, fossimo stati nei panni degli imbianchini, quella porta del cavolo l’avremmo sbiancata pure noi. Del resto va ricordato che «11, Rue Larrey, Paris» era una comunissima porta con due stipiti che divideva le tre stanze dell'appartamento parigino di Duchamp; porta che poi l’artista francese durante gli anni Venti aveva «rigenerato» come forma di ready-made. Del resto le creazioni di Duchamp non sono nuove a equivoci di questo tipo: il suo celebre «Scolabottiglie», del 1914, durante una mostra fu gettato in un ripostiglio dagli inservienti di un museo; mentre la celeberrima «Fontana», del 1917, fu ricondotta da un visitatore alla sua destinazione primaria di orinatoio nel maggio del 1993 al Museo di Nîmes.
Ma ancora più comica è la vicenda che ieri ha avuto come teatro una sala del mitico MoMa di New York, dove in questi giorni va in scena la retrospettiva dedicata alla serba Marina Abramovic. Una delle sue performance è composta da 8 persone nude, 38 tra uomini e donne che si alternano a turno, fermi immobili, in silenzio all’interno del museo. C’è chi sta in piedi l’uno davanti all’altro, chi è legato a una croce e chi semplicemente sta inerte a farsi ammirare. Dopo che alcuni visitatori si erano spinti un po’ troppo in là con i modelli scelti dalla Abramovic (strusciamenti troppo ravvicinati, mani morte e commenti spinti), è arrivata la risposta dei giovani «nudisti». Risposta rigorosamente «non verbale». Cioè? Uno dei modelli, complice le carezze di qualche avvenente visitatrice, ha avuto una erezione. Quando si dice, la dura legge dell’arte. Ma quelli del MoMa, inflessibili, hanno cacciato il giovane colto in flagranza di eccitazione. Protagonista della disavventura (?) Will Rawls, un ballerino assunto dalla Abramovic per interpretare «Imponderabilia», una performance del 1977 in cui due modelli nudi si fronteggiano in un passaggio da una galleria all’altra della mostra. I visitatori possono muoversi attraverso lo spazio tra i due, il più delle volte mostrando imbarazzo: ma non è stato affatto imbarazzato un uomo di mezza età che un paio di settimane fa ha allungato la mano «affondandola nella natica del ballerino» (entra - forse anche troppo - nei dettagli il New York Times).
«Siamo ben consapevoli delle sfide poste dall’aver performer nudi nelle sale», ha ammesso imbarazzato il direttore del MoMa. Le sale del museo di Manhattan sono da fine marzo affollate come una metropolitana all’ora di punta. Metropolitana completa di individui che hanno allungato le mani sui modelli nudi che replicano alcune celebri performance della «madre della Body Art» e del suo ex partner, l’artista tedesco Ulay. «So di tre casi in cui qualcuno è stato fatto allontanare per contatti indecenti», ha detto Gary Lai, uno degli attori ingaggiati per la rassegna intitolata «L’Artista è Presente» che prende il nome dall’ultima performance di Marina: seduta in posizione ieratica per ore di seguito nell’atrio del museo interagendo in silenzio con un visitatore alla volta. L’opera della Abramovic impone ai performer di spogliarsi o di stare in piedi o seduti o sdraiati per lunghi periodi di tempo e non è la prima volta che le provocazioni dell’artista attraggono trasgressioni da parte del pubblico.
Oltre alle «mani morte» allungate sui modelli nudi, altri protagonisti dello show della Abramovic si sono trovati di fronte a comportamenti poco rispettosi: Kennis Hawkins, una performer di «Imponderabilia», si è vista fotografare più volte dalla vita in giù. Il sexy paparazzo si è difeso: «Volevo solo avere un bel ricordo». Artistico, ovviamente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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