La sentenza: conosceva bene l’amico che tentò di rinnegare

IN GITA «Provati i loro incontri: anche un ciclo di conferenze in coppia tenuto in Australia»

A proposito della surreale testimonianza di Antonio Di Pietro che nel maggio del 2000 davanti a un giudice di Monza negò di conoscere (bene) Piero Rocchini, presidente del movimento-partito Mani Pulite, e di aver avuto con lui rapporti di tipo politico, c’è una sentenza che mette definitivamente la parola fine alla querelle.
In tredici pagine di dispositivo, il 4 ottobre 2001 il presidente Ambrogio Ceron non solo dà ampiamente ragione a Rocchini nella causa che lo vede contrapposto all’imprenditore Giorgio Panto (che lo aveva accusato di essere un millantatore nei rapporti con Di Pietro) ma sancisce al di là di ogni ragionevole dubbio ciò che Tonino aveva provato a minimizzare se non addirittura a negare. E cioè i rapporti di confidenza e di contiguità politica fra il politico di Montenero di Bisaccia e lo psichiatra fan del pool di Milano reo, quest’ultimo, d’aver criticato il cambio d’indirizzo e di progettualità politica (da destra a sinistra) dell’amico Di Pietro al ritorno dai suoi viaggi negli Stati Uniti.
«Quanto ai rapporti personali tra la parte civile Rocchini Piero e il dottor Di Pietro, è in atti un cospicuo carteggio fra Di Pietro e Rocchini tra il novembre del 1995 e il gennaio del 1996 in cui Rocchini – al quale Di Pietro si rivolge dandogli del “tu” e con “caro Piero” – mostra di conoscere personalmente Di Pietro e in cui Di Pietro accredita Rocchini come punto di riferimento del Comitato appoggio Mani pulite, ovvero di qualche coordinamento regionale di Mani pulite, persino come “consigliere occulto”. In particolare – continua la sentenza – Di Pietro ha riconosciuto i fax prodotti dalla parte civile come “lettere tipiche che scrivevo io”, ha ricordato i soggetti dei quali si parla nei fax e in particolare ha confermato che laddove si fa menzione del fatto che il teste Di Pietro dice “di prendere contatti con Rocchini” il riferimento è a qualche convegno».
E ancora. «Di Pietro, nel corso della sua testimonianza, ha ammesso di conoscere il Rocchini. In particolare ha dichiarato, sia pure in maniera confusa, di avere conosciuto il Rocchini nel corso di due convegni all’estero», uno dei quali, in Australia che Rocchini ha dimostrato di aver organizzato personalmente in raccordo con alcuni esponenti di un comitato Mani pulite in Australia.
«Rapporti che proseguirono successivamente laddove il Rocchini ebbe a fondare in Australia un comitato del movimento che organizzò un ciclo di conferenze per le comunità italiane, durato ben quindici giorni come riferisce lo stesso Di Pietro (...). Tali dichiarazioni – prosegue la sentenza – confermano quanto dichiarato da Rocchini laddove ha dichiarato di avere avuto rapporti di amicizia con l’ex magistrato (...). La sussistenza dei rapporti fra Di Pietro e Rocchini è ulteriormente confermata dal teste Zamboni Ezio così come risultano che tra loro intercorsero conversazioni telefoniche durante alcune delle quali assistette lo stesso Zamboni nonché incontri successivi anche a Roma, uno dei quali avvenuto a casa di quest’ultimo (pagina 84 della trascrizione della testimonianza)».
Aggiunge Rocchini in una sua memoria: «Nell’autunno del ’93 convinsi la giornalista Luisa Perugini a costituire con altri suoi amici un comitato Mani pulite a Sydney e con questo organizzai un giro di manifestazioni pubbliche in Australia con Antonio Di Pietro. Nel corso del viaggio in Australia tenemmo congiuntamente diverse conferenze alle comunità italiane e in alcune università, incontrando politici e autorità locali (sono disponibili diverse registrazioni di tali incontri). Al ritorno dal viaggio continuammo a sentirci e a frequentarci (e in proposito si allegano foto degli incontri a un convegno in Spagna, in Australia e di una cena svoltasi in quel periodo in casa del dottor Antonio Di Pietro)».


Quanto alla notizia apparsa su Dagospia in relazione a un presunto taroccamento delle foto pubblicate, Rocchini dice al Giornale: «Le fotografie fanno parte del fascicolo processuale, sono state depositate nella causa per diffamazione, erano note al Pm, sono state esibite in aula dal mio avvocato, visionate in aula dal “teste” Di Pietro che guardandole non solo ha ricordato l’incontro avvenuto a casa sua ma non ha sollevato alcun dubbio sulla autenticità delle stesse. È tutto riportato nella trascrizione della sua deposizione».

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