Dunque il nuovo «Mister Gay 2011» è Daniel, un commesso romano di 21 anni. Buon per lui e felicitazioni per la tenerezza con cui - come le miss e i campioni di ciclismo di una volta - ha dedicato la vittoria ai genitori. Congratulazioni anche per l'impegno politico dimostrato da Daniel, che ha dichiarato di volersi battere per l'approvazione della legge contro l'omofobia. Ce n'è bisogno, anche se - per la verità - proprio l'elezione di un Mister Gay, e il grande risalto che hanno dato i media all'evento, sembrerebbero dimostrare il contrario.
Guardando nei telegiornali e nei servizi d'agenzia le immagini dei finalisti, il pensiero mi è andato piuttosto a tutto il gran parlare che si fa di «sfruttamento del corpo femminile»: ogni volta che appare una pubblicità appena un po' audace o, immancabilmente, durante i concorsi per Miss Italia. Perché si parla sempre di «sfruttamento» al femminile e mai al maschile? Eppure l'immagine dei finalisti gay - tra cui un medico anestesista e un esperto informatico di sistemi di sicurezza - erano un palese richiamo sessuale che aveva più della commercializzazione del corpo maschile che della battaglia di civiltà. Corpi scolpiti e muscolosi quanto abbronzati e unti di creme, slippini abbastanza micro e talmente aderenti da rivelare più che nascondere: in più, un tocco di raffinatezza virile, le scarpe da ginnastica.
Di certo i tredici magnifici finalisti, su duecentoquaranta concorrenti, non sono stati scelti per meriti intellettuali ma proprio e soltanto per la bellezza del loro corpo; non per impegno sociale, ma perché quei corpi potranno servire a uno sfruttamento commerciale (che auguriamo cospicuo ai fortunati detentori), come avviene con le miss.
Oltretutto la faccenda non riguarda soltanto i gay, anzi. La pubblicità, le riviste e gli schermi sono zeppi da anni di corpi maschili scolpiti e esibiti, di turgori e gonfiori atti a far sognare maschi e femmine, di visi virili curiosamente in contrasto con la luce tenue che appare negli occhi. Sfruttamento del corpo maschile e nient'altro.
Ora si tratta di decidere, insomma, se ci si vuole scandalizzare soltanto per la mercificazione del corpo femminile, se lo scandalo deve essere dedicato a entrambi i sessi oppure a nessuno dei due.
Personalmente, propendo per l'ultima ipotesi. La liberazione sessuale, necessaria e benigna, come tutte le rivoluzioni ha portato con sé delle ricadute meno necessarie, meno benigne ma comunque inevitabili. La libertà di mostrare, e di far rendere, la bellezza di petti e pettorali, la lunghezza e la robustezza di cosce e stinchi comporta il loro sfruttamento commerciale. Che deve valere per tutti, senza tanti scandali e sdegni. Né, tanto meno, alti lai di proto e neofemministe in vena di sentirsi discriminate a tutti i costi.
Il problema è piuttosto un altro, il più grave. Ovvero il modello che viene fornito a ragazzine e adolescenti. Non ancora ammessi ai concorsi di bellezza, non ancora dotati di sufficiente autonomia critica né economica, vengono implacabilmente tentati a credere che la bellezza sia un valore indispensabile per essere ricchi, felici e famosi.
Questo è un grave problema, pedagogico, etico e sociale, che ha la sua punta più drammatica nei casi ben noti di anoressia femminile (e non solo) da imitazione di fotomodelle, ma che può toccare tutto il mondo adolescenziale e addirittura quello infantile.
È un problema, però, che non può essere risolto vietando l'esibizione dei corpi. Forse può essere attenuato vigilando su un'eccessiva associazione consequenziale tra nudo esemplare e felicità sicura.
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