Siamo davvero alla frutta: estate senza le nostre pesche

Gli agricoltori, pagati quest'anno il 40% in meno, minacciano il blocco dei raccolti: "Incassiamo meno di quanto spendiamo, avanti così e sospendiamo la produzione"

Siamo davvero alla frutta: estate senza le nostre pesche

Sarà un'estate senza pesche italiane? È da sempre una delle nostre eccellenze, forse il frutto dell'estate per antonomasia, uno dei prodotti di punta dell'offerta nazionale anche per l'export. La nostra produzione di pesche e pesche noci è considerata la migliore al mondo, grazie anche a protocolli di controllo rigorosi, e dunque più costosi rispetto ai concorrenti europei. Un settore simbolo del «made in Italy» che oltretutto dà lavoro a tanta gente e nel quale il nostro Paese mantiene la leadership, visto che con circa un milione e mezzo di tonnellate di raccolto si posiziona dietro alla sola Cina.
La crisi, il meteo ballerino, la concorrenza del prodotto straniero (la prossima settimana «Ortofrutta Italia» lancerà una campagna di promozione dedicata alla pesca italiana che coinvolgerà tutti i componenti della filiera), la fragilità intrinseca della produzione e soprattutto i bassi prezzi di acquisto (meno 40%) imposti dalla grande distribuzione - a cui non fa seguito un calo equivalente per il consumatore che nei vari supermercati paga sempre lo stesso prezzo - stanno però facendo vivere al settore il momento più difficile di sempre. Per questo i produttori, «Unaproa» in testa, minacciano iniziative estreme e annunciano di essere pronti a bloccare i raccolti, visto che si tratta ormai di una produzione in perdita. L'idea è quella di creare un fronte comune dal basso con Spagna, Francia e Grecia per dare risalto e forza alla protesta.
«Ciclicamente - denuncia Ambrogio De Ponti, presidente dell'Unione nazionale organizzazioni produttori ortofrutticoli, Agrumari e di frutta in guscio - ci troviamo a fronteggiare problemi, ma quest'anno la campagna è particolarmente sotto tono, con prezzi inferiori anche del 40%. Il risultato - insostenibile - è un prezzo pagato al produttore inferiore ai costi di produzione e che non coincide con un abbassamento del prezzo per il consumatore finale, che si mantiene alto e non proporzionato al valore d'acquisto pagato al produttore. In questo modo sono totale onere del produttore i costi che garantiscono salubrità e sicurezza, mentre l'onore di questa eccellenza viene incassata dal distributore che - a suo esclusivo vantaggio - ne fa leva di marketing verso l'acquirente».
Le ragioni dell'estate calda minacciata dai produttori di pesche sono riassumibili in alcuni semplici numeri. La grande distribuzione acquista le pesche attorno ai 18-20 centesimi al chilo, a fronte di un costo che per il produttore può arrivare a toccare i 30-40 centesimi. Al consumatore le pesche costano 0,99 euro quando ci sono le offerte, circa 2 euro, 2 euro e mezzo ai prezzi normali di vendita.
L'equilibrio della filiera e la naturale dinamica di mercato viene così a crollare, togliendo reddito, respiro e futuro ai produttori. Per questo «Unaproa» propone una soluzione choc. «Facciamo fronte comune assieme a Spagna, Francia e Grecia e sospendiamo la produzione di pesche - incalza De Ponti -. Bisogna accendere i riflettori sull'entità del problema. Ben prima della stagione delle pesche, già a febbraio, eravamo a conoscenza di offerte al ribasso promosse dai distributori, non sostenibili.

Chiediamo che vengano definiti a livello europeo, per il tramite del nostro Ministero delle Politiche Agricole, costi di produzione al di sotto dei quali non si possa scendere. È una misura che si appella a una regola etica di rispetto del lavoro. Un vero e proprio imperativo morale».

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