La sirena delle cure low cost Ma farebbe il bis soltanto un paziente su due

Gli interventi alla bocca sono i più richiesti perché in altri Paesi costano quattro volte di meno. I dentisti avvertono: "È vero, c'è la crisi. Però su igiene, materiali e sicurezza non si possono correre rischi"

Con la sua bocca rinnovata, Stefania Marotto è un torrente in piena. «Perché sono andata da un dentista albanese? Semplice: ho speso 5.000 euro invece che 17mila. Mia mamma c'era già stata, qui le avevano chiesto 35mila euro e là ne ha sborsati 11mila. Interventi a regola d'arte, con materiali certificati e visite di controllo. Qualche settimana fa ho portato mio figlio dal mio vecchio dentista, il quale ha visto subito che avevo fatto dei lavori. Per curiosità mi ha seduto in poltrona e dopo aver guardato per bene mi ha fatto i complimenti. Non voleva credere che ero stata curata in Albania».

Sono 90mila gli italiani che ogni anno vanno per qualche giorno nei Paesi che un tempo si sarebbero detti «oltrecortina», chi in aereo e chi in pullman, organizzati in comitive di sdentati che dalla mattina alla sera ritrovano il sorriso. Il risparmio fa premio sulle riserve iniziali: garanzie, livello di igiene e sicurezza, conseguenze in caso di cure sbagliate. E se parte il passaparola giusto, il viaggio di uno genera un piccolo esodo.

Stefania Marotto, 27 anni, vive ad Aritzo (Nuoro). È già stata a Tirana due volte. «Ho incontrato gente di tutta Italia. Siamo stati ospitati in un appartamento e trattati bene, con accompagnatori che parlavano italiano e ci assistevano in tutto, abbiamo fatto amicizia e quest'estate farò le vacanze in Albania. I lavori sono stati ineccepibili, sono tornata mesi dopo per controllare gli impianti ed era tutto a posto. Hanno voluto la panoramica, mi hanno fatto Tac e preanestesia. Hanno scoperto che in Italia avevano curato male due carie. Ho cambiato tanti dentisti ma non mi sono mai trovata bene come in Albania, per non parlare dei costi. Da mesi i miei titolari vanno una volta alla settimana a Cagliari e non risolvono nulla, cercherò di convincerli».

«Gli italiani cercano servizi sanitari alternativi per fronteggiare il periodo di crisi - dice il dottor Giuseppe Renzo, presidente del Consiglio nazionale odontoiatri -. L'Associazione nazionale dentisti italiani stima che ogni anno un miliardo di euro finisca ai dentisti stranieri sottraendo denaro al fisco e all'economia nazionale. Secondo l'Istat oltre 8 milioni di cittadini fanno a meno di curarsi bocca e denti. Viene meno il diritto alla salute sancito dalla Costituzione, che deve essere garantito dal Servizio sanitario nazionale. Ma il sistema non può scaricare le proprie inadeguatezze sui liberi professionisti». Il problema dei costi è gravissimo. Spiega Renzo: «L'odontoiatria in Italia si fonda in gran parte su una rete privata di studi professionali i cui costi di base sono mediamente quattro volte maggiori rispetto a quelli affrontati dai professionisti di altri Paesi. La tassazione è al 22 per cento contro il 4; l'Iva non può essere detratta; i costi per i collaboratori incidono in maniera determinante ma la loro presenza è indispensabile per garantire sicurezza e igiene».

Ma gli interrogativi restano nelle parole di Renzo: «Chi garantisce la sicurezza del paziente, chi tutela la sua salute nel rispetto delle norme igienico-sanitarie con l'utilizzo di materiali che non siano lesivi per il paziente o addirittura cancerogeni? Aggiungo che la pubblicità delle cure che realizzano molte strutture straniere è consentita da noi ma vietata nei loro Paesi. È una concorrenza sleale verso i professionisti italiani».

Un'indagine Ispo rivela che solo il 4 per cento degli italiani si è rivolto all'estero per curarsi i denti, metà di loro non lo rifarebbe e l'81 per cento non è disposto a prendere in esame l'eventualità. Per Renzo «bisognerebbe ribaltare il turismo dentale a favore dell'Italia promuovendo l'eccellenza medico-scientifica nazionale, cercando di portare in Italia gli europei. Bisognerebbe prevedere la detrazione fiscale totale delle spese odontoiatriche».

Da noi il turismo della salute si scontra con un ostacolo culturale. «C'è una ritrosia delle strutture e dei governi che rifiutano l'idea della sanità come possibile business», spiega Andrea Rossi, consulente di marketing sanitario per varie strutture tra cui l'Istituto Auxologico di Milano. «Le terme hanno un potenziale attrattivo altissimo, e così pure l'abbinamento tra cure e turismo.

Si comincia ora a stilare programmi di internazionalizzazione, a stringere accordi con compagnie di assicurazione sanitaria per pazienti che intendono curarsi in Italia, residenti temporanei o manager in viaggio d'affari. All'estero si danno molto da fare: offrono pacchetti completi, sfruttano i social network, comprano case per ospitare gratis i pazienti. E gli standard sanitari sono spesso paragonabili ai nostri».

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