nostro inviato a Parigi
La moda del teschio, il teschio alla moda. Prendete la scultura anatomica di Damien Hirst For the Love of God: ottomila e passa diamanti della gioielleria Bentley&Skinner incastonano il platino utilizzato dallartista come materia superlusso. Venduta per 100 milioni di dollari, è lopera darte contemporanea più cara mai realizzata da un artista vivente. Hirst i crani li colleziona, li serigrafa, ne fa delle icone sorridenti, e non sorprende che François Pinault, il magnate e mecenate di palazzo Grassi e Punta della Dogana lo porti in palmo di mano: il ritratto di sé che preferisce è quello fattogli nel 2003 da Piotr Uklanski ed è nientaltro che una radiografia colorata della propria testa con sotto due tibie incrociate alla maniera di un vessillo corsaro. Tutto si tiene: unarte pirata e la pirateria dellarte, il legame funereo, ma non tragico, fra artisti e mercanti, un pirata collezionista di un cranio che è già teschio, già defunto pur essendo ancora vivo... La morte dellarte come de profundis dellumanità.
È un revival funebre che dura da qualche decennio e dagli Skull di Andy Warhol degli anni Settanta, alle Tête de mort di Niki de Saint Phalle degli anni Ottanta, alla Body Art con scheletro incorporato di Marina Abramovich racconta sempre la stessa storia; il niente come sostituto del sacro, lo spettacolo derisorio del vuoto che ci attende, lesorcizzare la morte facendone unicona della vita: oggetto darredamento, bijoux, design. In neon e plexiglas, linstallazione luminosa di Jean-Michel Alberola disegna la parola rien, nulla, dandole la forma di un cranio che si accende... Lautoritratto fotografico di Robert Mapplethorpe, malato di Aids, inquadra un volto già segnato e una mano che impugna un bastone da passeggio che ha un teschio come pomo. «Io fui quello che tu sei, tu sarai quel che io sono».
Poche mostre come questa al Musée Maillol dal titolo «Vanités. De Caravaggio à Damien Hirst» (sino al 28 giugno) illustrano meglio levoluzione e/o involuzione di quello che si potrebbe definire «il senso della vita»: tema millenario che dallantichità ricordava agli uomini la fragilità della loro condizione e che è arrivato ai nostri giorni vuotato di senso, ma moltiplicato di segni.
Il memento mori di un mosaico di Pompei allinea un teschio, la ruota della fortuna, le vesti di un potente e di un povero, una squadra, a simboleggiare la giusta misura. Veniva sistemato sopra la tavola dellospite, per ispirare sagge riflessioni ai commensali... È uneccezione, perché il mondo classico incarnava la divinità nella fisicità, unestetica del sacro in cui il culto della bellezza riscattava il pensiero della morte. È con lOccidente cristiano che questultima occupa un posto preponderante nelliconografia. È il passaggio verso la «vera vita» e il teschio è sinonimo di resurrezione, racconta la Caduta e la Redenzione...
Letà doro delle Vanità è quella delle Riforma protestante e della Controriforma cattolica: alle «danze macabre» degli ultimi secoli del Medio Evo si sostituisce la meditazione dei grandi santi penitenti: il seicentesco San Francesco inginocchiato del Zurbarán, che si china sul teschio rovesciato che ha fra le mani, quello in preghiera del Caravaggio o in estasi di de La Tour, la Maddalena malinconica di Domenico Fetti. Nella retorica allegorica barocca, anche Cupido è reclutato nellimpresa. Seduto sul libro della saggezza, lamorino addormentato di Luigi Miradori, detto il Genovesino, ha un teschio per cuscino, narcisi e tulipani come fiori emblematici dello svanire dogni cosa. Dorme e sogna la propria morte e la propria resurrezione.
Ciò che nellEuropa mediterranea è un proliferare di figure sacre che si interrogano, nellEuropa del nord cede il passo al simbolismo degli oggetti: il teschio rimane immancabile, ma clessidre, specchi, candele, strumenti musicali e di misurazione, libri e insegne del potere sono chiamati a rappresentare il passare del tempo, la brevità dellesistere, la vanità dei piaceri e delle ricchezze, nature morte nel vero senso del termine, ma anche la spia di ciò che si prepara, ovvero lesaltazione di ciò cui si dovrebbe rinunciare, lillusione come arte. Il secolo dei Lumi e la Rivoluzione dell89 accelerano la secolarizzazione: tagliano la testa ai re per diritto divino e tolgono la dimensione teologica agli scheletri umani. Il teschio diviene un accessorio negli atelier dei pittori, uno strumento di lavoro sui tavoli anatomici.
Bisognerà aspettare il Novecento delle ecatombi belliche perché la morte ritrovi la sua antica autorità e il teschio riprenda il suo posto donore. Ma per dadaisti, surrealisti, espressionisti, è solo licona del più indicibile orrore, il simbolo di una violenza che ha devastato, devasta e devasterà un continente, lemblema con cui ideologie contrapposte si combattono, scaricandosele addosso.
Il resto è storia doggi, quella raccontata allinizio: la fine delle utopie, la crisi delle certezze e dellidea stessa di progresso, il ritrovarsi con una morte smaterializzata e de-spiritualizzata, semplice spettacolo in una società che muta tutto in spettacolo.
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