Della rivalità più storica e rancorosa d'Italia, quella tra Pisa e Livorno, sono pieni gli aneddoti e le pagine del Vernacoliere, il feroce giornale satirico della città labronica (memorabile la «civetta» dopo il disastro di Cernobyl: «Primi effetti della nube radioattiva: è nato un pisano furbo»). Ma mai nessuno, finora, si era avventurato in una - ancorché scherzosa - spiegazione sociologica del fenomeno. Ci prova ora un libello appena edito da Zona (Pisa & Livorno, istruzioni sulla guerra e sui campanili, 10 euro) scritto da Alessandro Agostinelli, che si definisce «consulente in cinema e comunicazione», ma si guarda bene dal rivelare la propria origine. Saggia decisione. Perché se quello tra pisani e livornesi è un antagonismo che va ben oltre i luoghi comuni e non può essere definito odio ma una sorta di differenza ontologica ed esistenziale, la teoria proposta da Agostinelli è tanto originale quanto pericolosa. Secondo l'autore, infatti, Pisa e Livorno si odiano perché sono solo due quartieri di una medesima città: come a Manhattan c'è New York, la Grande Mela, in fondo all'Arno c'è Pisorno, la Grande Pera.
I capisaldi di questa faziosità si conoscono. A Livorno sono popolani e di sinistra. Anche a Pisa sono di sinistra, ma aristocratici. I secondi sono tendenzialmente colti quanto i primi sono ignoranti. Per i pisani i livornesi sono grezzi e maleducati, per i livornesi i pisani sono «signorini» e un po' stupidi. Un'accusa, questa di essere stupidi, alla quale spesso a Pisa non sanno rispondere con adeguata dialettica e che subiscono con silenzioso livore. Noi, pensano, siamo una città antica, una repubblica marinara, mentre loro fino a cent'anni fa erano poco più che un villaggio di pescatori: niente storia, nessun monumento tranne i bastioni medicei (simbolo del servaggio per gli odiati Medici, peggio che mai!). «Meglio un morto in casa che un pisano all'uscio», ribattono a Livorno con un motto divenuto ormai, almeno in Toscana, di uso comune. «Le parole le porta via il vento, le biciclette i livornesi» sentenziano sprezzanti sotto la torre pendente.
Una diversità lacerante che si manifesta ogni notte in una silenziosa guerra di confine combattuta a colpi di bombolette spray e dell'epiteto più coprofilo d'Italia vergato su muri e cartelli stradali. Ma se in questa specialità eccellono i livornesi (il diffusissimo «pisam...» è certamente più eufonico e secco del corrispondente labronico), i pisani prevalgono invece nella poesia: «Il sogno del pisano è svegliarsi a mezzogiorno - c'è scritto sugli spalti dello stadio - guardare verso il mare e non vedere più Livorno». Il calcio: ecco un'altra delle radici dell'odio. Alla disgrazia dell'una ha sempre corrisposto l'eccellenza dell'altra. E così, via con gli sfottò.
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