Soru si ricandida in Sardegna dopo averla bloccata per 4 anni

SPOT In tv si ripropone alla guida della Regione ma finora si è messo tutti contro, compagni compresi

Nuvoloni neri sulla Sardegna si prevedono a Che tempo che fa, il programma di Fabio Fazio dove ieri il governatore Renato Soru ha prospettato non solo un probabile ritiro delle dimissioni del 25 novembre, ma soprattutto la ricandidatura certa quando si voterà. «Ho fatto un patto con gli elettori e voglio rispettarlo - ha detto Mr Tiscali nell'accogliente salotto di Raitre -. Il mio futuro politico è nell'isola. Non voglio contraddire quanto di buono abbiamo fatto».
E che ha fatto di buono il Bill Gates di Sanluri alla guida della regione? Nell'agosto 2003 l'autocandidatura piombata come un meteorite tra i Ds sardi costrinse alle dimissioni il segretario regionale Renato Cugini. Soru si era presentato con la lista «Progetto Sardegna» come «un uomo di centro che piace a sinistra». Scelto da Prodi e Fassino, il creatore di Tiscali che aveva dato lavoro a 1.500 cagliaritani divenne il prototipo del candidato veltroniano: imprenditore, ricco ed estraneo (almeno fino alla discesa in campo) alla sinistra. Un Matteo Colaninno o Massimo Calearo «ante litteram», insomma, che faceva il paio con Riccardo Illy a Trieste. A differenza loro, tuttavia, Soru godeva dell'appoggio di girotondini, internettiani, volontariato. Ma non di Rifondazione, che lo definiva «la via sarda al peronismo, un leader che ignora la mediazione». Presagio avveratosi giorno dopo giorno.
Soru è stato un uomo solo al comando: ritenendosi l'uomo della provvidenza per la sinistra, fama consolidata la primavera scorsa con il rocambolesco acquisto dell'Unità in crisi, ha sempre pensato che tutto gli fosse consentito. Il profeta del web tenne la delega all'informatizzazione ignorando le accusa della sinistra di conflitto di interessi; qualche mese dopo calò la carta più discussa: il Piano paesaggistico regionale (Ppr) battezzato legge salvacoste e la tassa sul lusso, che hanno bastonato i proprietari immobiliari e bloccato la costruzioni di nuove case sul litorale e nell'entroterra.
Il divieto di edificare non era assoluto: potevi costruire se ottenevi l'«intesa» con la regione, cioè se ti mettevi d'accordo direttamente con Soru. «Un modo per accontentare amici e favorire le speculazioni», aveva protestato Mauro Pili, ex governatore ora deputato del Pdl, e con lui mezza Italia. Norme capestro, che hanno paralizzato l'edilizia e scoraggiato il turismo, e illegittime: la tassa sul lusso è stata bocciata dalla Corte costituzionale dopo l'impugnazione decisa dal governo «amico» di Romano Prodi.
Ci vuole del talento per mettersi tutti contro, e Mr Tiscali evidentemente ne è largamente dotato: dagli imprenditori ai sindacati, dall'opposizione a settori crescenti del centrosinistra, nessuno sopporta il dirigismo del governatore. In regione ha fatto saltare assessori e consiglieri. Si è conquistato un velenoso pamphlet del pubblicitario Gavino Sanna, pentito di avergli disegnato i manifesti per la campagna elettorale: «È un signore che non vorrei per amico. È uno che ti usa e getta come carta igienica».
Il Tar di Cagliari è sepolto dai ricorsi contro gli atti della giunta regionale, il che significa immobilismo e incertezza. Nel tritacarne della burocrazia giudiziaria è finito anche il Ppr, bocciato, riscritto, fermato, modificato. Soru l'ha trasformato nella sua linea del Piave. Ed è caduto proprio su una norma transitoria del Piano.

Altri casi hanno scosso l'amministrazione del bocconiano arricchitosi con la «web economy»: il nuovo statuto bocciato da un referendum perché (dissero i promotori) «legittimava il conflitto d'interessi del presidente e di alcuni consiglieri regionali ineleggibili»; oppure l'appalto della pubblicità istituzionale vinto dalla Saatchi & Saatchi su cui la Procura ha indagato sospettando che la società conoscesse in anticipo il bando di gara. Ma la tessera numero 1 del Pd sardo ha sempre tirato dritto. Vedremo che tempo farà dopo il consiglio regionale del 18 o 19 dicembre.

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