Impossibile raccontare in poche battute la variegata carriera artistica di un gigante del contrabbasso jazz come l'inglese Dave Holland; le mille strade che ha preso contribuendo a inventare il jazz rock in dischi di Miles Davis come In a Silent Way e Bitches Brew, il quintetto di impostazione mingusiana che ha dominato gli anni '80 e '90 (con personaggi che spaziano da Steve Coleman a Chris Potter), persino le incursioni nella musica country come le bellissime sessions con star come Tut Taylor, Vassar Clements, Norman Blake. Con un piede nella tradizione ed uno nella ricerca sperimentale (molto attiva anche la sua casa discografica Dare2) Holland ha in cantiere numerosi progetti tra cui l'album di modern fusion Prism, in uscita a fine agosto, e una lunga tournée europea che lo porterà ad ottobre in Italia.
Ci racconti il nuovo album.
«È l'inizio di una nuova avventura, con me ci sono Kevin Eubanks alla chitarra corresponsabile del progetto; Craig Taborn alle tastiere, Eric Harland alla batteria, tutti a loro volta leader di un proprio gruppo. É un disco che nasce dal passato ma suona molto moderno, ho voluto molte tastiere, soprattutto i colori del piano Fender Rhodes. Ma questo è solo il primo capitolo, stiamo già lavorando al secondo cd».
Sembra ispirato dal periodo d'oro con Miles Davis.
«Difficile non essere ispirato da Miles Davis, soprattutto da Bitches Brew. Fu lui che mi scoprì a Londra e mi portò a New York e fu sempre lui che mi spinse a suonare la chitarra. Fu lui che ci mise sulla strada di quella che sarebbe diventata la fusion. In Prism c'è il riassunto di una parte della mia storia, quando ascoltavo Ray Charles, quando suonavo il blues con Alexis Korner e da un lato impazzivo per Hendrix e i Cream e dall'altro per l'improvvisazione. Non volevo ricreare quell'atmosfera ma - più o meno inconsciamente - resto molto legato a quell'epoca, ma il cd non è un viaggio sentimentale».
Come si fa a spaziare attraverso i generi senza perdere mai un colpo?
«Bisogna essere curiosi e avere la mente sempre aperta. Il jazz, grazie alle sue radici afroamericane, è la musica al tempo stesso più conservatrice e più libera nel contaminarsi con le altre. Oggi si spaccia la contaminazione come una grossa novità, ma nel jazz è così da sempre. I neri hanno messo insieme i suoni africani e quelli americani e così è nato il blues: più contaminazione di così. Da allora gli esempi sono migliaia, come i cocktail di Dizzy Gillespie con i suoni latini e così via».
Cos'è l'avanguardia?
«Essere un passo avanti rispetto ai tempi. Esplorare nuove vie, cercare di aggiungere nuove spezie ad una ricetta antica ma che si evolve continuamente. È ciò che ho tentato di fare dai tempi della band Circle con Chick Corea e Anthony Braxton, alle collaborazioni con Sam Rivers ai miei esperimenti solisti. Ho seguito il motto di Rivers che è: Non trattenerti, suona tutto quello che hai dentro e ho applicato il mio: il jazz è dialogo spontaneo e conversazione».
Ora parte in tournée con questo quartetto.
«Abbiamo girato gli Stati Uniti in luglio, in agosto sarò in studio di registrazione a New York, poi in settembre e ottobre faremo un lungo tour europeo, Italia compresa. Sarà divertente».
Ma lei ha già un sacco di altri progetti in cantiere.
«Glieli racconto in ordine sparso. Farò un nuovo album tra jazz e flamenco, poi lavorerò con la mia Big Band e in quintetto sempre con Robin Eubanks ma con altri musicisti. Infine farò un album e una tournée con un pianista raffinato e moderno come Kenny Barron e un cd dal vivo in quintetto per la mia etichetta».
Ci vuole coraggio a fondare una casa discografica oggi.
«La mia è nata nel 2004 e pubblica pochi cd mirati.
Come si definisce Dave Holland, oltre che un creativo?
«Creativo lo dice lei, io sono semplicemente un artista che ama la vita e la musica».
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