Al Teatro Studio 5 di Cinecittà, amato da Fellini e appositamente trasformato in enorme sala cinematografica (888 posti a sedere), ieri abbiamo visto il film dei film della stagione: “The Hateful Eight”, l’ottavo film di Quentin Tarantino. Dal 4 febbraio il pubblico pagante (la bellezza di 15 euro) potrà gustare per un mese questo potente western nella neve, ambientato nel Wyoming all’epoca della Guerra Civile, nel formato 70 mm., ossia nell’estetica Panavision che ha improntato di sé kolossal come “La Bibbia” di John Huston, armandosi però di pazienza: nel formato “vintage” caro al cinéfilo Quentin, oggi a Roma con gli attori Kurt Russell e Michael Madsen e in compagnia di Ennio Morricone per lanciare il suo film, la durata è di 3 ore e 8 minuti, che però scorrono via come l’acqua d’un torrente, pausa compresa: necessaria per riprendere fiato, rilassarsi e farsi stordire da un finale thriller. Nel formato digitale, invece, le ore sono 2 e i minuti 47 e niente interruzione tra primo e secondo tempo, comunque scanditi da capitoli, in tipico stile tarantiniano. Per gli amanti dei 70 mm, formato delle scene di massa o dello splendore delle grandi ricostruzioni anni Sessanta,ci sono inoltre l’Arcadia di Melzo e il Lumière di Bologna. Poche sale, però buone.
Ma veniamo a questo capolavoro, scritto dal regista di culto che stavolta fa il salto di qualità e diventa regista politico - sì, “The Hateful Eight” affronta di petto la questione razziale alla base dell’originaria barbarie americana – con un cast stellare di storici attori “tarantinati”: Samuel L.Jackson (“Pulp Fiction”, “Kill Bill”, “Django Unchained”), Kurt Russell (“Grindhouse- A prova di morte”), Walton Goggins (“Django Unchained”), Michael Madsen (“Le iene”, “Kill Bill”), Bruce Dern (“Django Unchained”), Tim Roth (“Le iene”, “Pulp Fiction”), James Parks (“Kill Bill, “Django Unchained”, Zoe Bell (“Grindhouse- A prova di morte”, “Django Unchained”). Degli otto, solo Jennifer Jason Leigh, fantastica come puttana criminale, e Demian Bichir non avevano mai lavorato con Quentin. E queste otto persone, molto diverse tra loro, sono pericolose ognuna a modo suo: per il pubblico è intrigante “legarsi” a un personaggio, man mano che interagiscono chiusi nell’emporio di Minnie, tra tegami, pentolini e bastoncini di menta, mentre fuori imperversa una tremenda tempesta.
All’inizio,il film si apre con una maestosa ouverture del Maestro Morricone, una lunga introduzione musicale (10 minuti) ossessiva e funerea sullo sfondo delle montagne candide e minacciose. Inizia il Capitolo Uno e un Cristo scolpito nel legno si torce sotto la tormenta di neve, quando una diligenza diretta a Red Rock, con dentro John “Il Boia” Ruth (Kurt Russell) e la sua preda Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh) incatenata a sè – “Il Boia” le consegna vive, le sue prede – deve fermarsi: seduto su una montagnola di cadaveri c’è il Maggiore Marquis Warren (Samuel L.Jackson): a differenza del “Boia”, che lui conosce, i suoi pezzi da forca lui li consegna morti. Dopo varie schermaglie, “il Boia” prende a bordo il Maggiore, ex-ufficiale negro degli Stati del Nord e già si capisce che niente è come sembra.
Il bello è che Tarantino, esaurite le grandiose scene iniziali, con vasti paesaggi innevati, trasforma subito il suo epico western in un “Kammerspiel” claustrofobico: dalla prateria innevata del Wyoming, man mano che avanza la diligenza con un tiro a sei cavalli, prendendo a bordo anche Chris Mannix (Walter Goggins), pseudo-sceriffo di Red Rock, si finisce a chiudersi nell’emporio di Minnie, dove i viaggiatori incontrano un gruppo di sconosciuti, che cercano riparo dalla tempesta. Una riunione all’inferno, dove nessuno è chi dice d’essere: un gruppo di persone con un cappello da cowboy, dove spicca il bounty killer “africano”. Un pic-nic tra cacciatori di taglie, insomma, che per tutta la prima parte chiacchierano, preparano lo stufato e si versano il caffè in un’ambiziosa costruzione di dialoghi e dialettica dall’architettura blindata (qui sta la forza del film, costruito come “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie).
Nel gruppo c’è anche un inglese elegante, Oswaldo Mobray (Tim Roth, nel ruolo che doveva essere di Chrisoph Waltz), anche lui cacciatore di teste e un messicano di nome Bob (Demian Bichir), ambiguo da subito. Chi sono i buoni? Chi sono i cattivi? O, magari, di buoni neanche l’ombra, visto che tutti si affidano alle pallottole del proprio revolver, mentre pensano alle taglie da incassare?
Ecco un altro film di Tarantino che usa alla grande tutti i tòpoi dei western – dagli spaghetti-western di Sergio Leone e Sergio Corbucci alle produzioni USA revisioniste del dopoguerra – per introdurre il tema della rottura sociale. E c’è molto teatro da camera, con i primi piani sulle facce intense degli otto manigoldi che faranno carne di porco delle proprie e delle altrui carni, in quest’opera che può sembrare manierista, ma che proprio sul suo manierismo fa leva. E l’unico paesaggio che cambia di continuo è il viso dei personaggi, che assemblano gli archetipi dell’America più brutale dei primordi. Naturalmente, le fantasie di vendetta già presenti in “Djiango Unchained” qui sono sviluppate con un potenziale d’odio esplosivo: “The Hateful Eight” guarda più profondamente dentro l’anima americana, tra dramma e divertimento. Perché non mancano certo le scene “splatter” e “pulp” e pop-trash a base di sangue e cervelli spiaccicati tra i capelli. E non ci sono eroi,stavolta.
Ma una lettera di Lincoln che vaga, dall’inizio alla fine, tra le mani dei protagonisti d’un Grand Guignol accattivante,pronta a evocare la nostalgia di un’America più giusta, priva di filibustieri e di razzisti. “Quando i negri hanno paura, i bianchi sono al sicuro” qui è frase di culto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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