Mo Yan è uno scrittore cinese, noioso come tutti gli scrittori cinesi, con l'aggravante di aver vinto perfino un Nobel, e si sa che i Nobel per la letteratura ormai li danno per tutto tranne che per la letteratura. Come dichiarò Han Shaogong, il caposcuola del movimento Ricerca delle radici, «la letteratura ha radici che devono essere conficcate nella terra della cultura tradizionale di una nazione», sai che radici conficcate nei genitali di noi lettori occidentali.Tuttavia il romanzo appena pubblicato da Einaudi (scritto nel 1992) è interessante per diversi motivi. Anzitutto è come sarebbe stato Carlo Emilio Gadda se fosse nato a Shandong: Il paese dell'alcol (pagg. 376, euro 21) potrebbe intitolarsi Il pasticciaccio brutto di Jiugou, e Jiugou è un paese cinese dove al posto del commissario Ingravallo viene inviato dalla Procura centrale l'ispettore Ding Gou'er, per capire se i dirigenti locali mangiano carne umana, in particolare i bambini. Tra i personaggi c'è lo stesso Mo Yan, e un suo discepolo aspirante scrittore, Li Yidou, e i due si scambiano lunghi epistolari che si alternano alla vicenda e fungono da commenti metanarrativi.Essendo un libro cinese, bisogna passare in mezzo a similitudini tremende che possono piacere solo ai cinesi e ai radical-chic cinesofili (tipo «simile a un fiore di luppolo, il viso della donna gli rimase impresso nella mente per un bel po'», e io non so immaginare come si possa vedere un viso di una donna e pensare a un fiore di luppolo). E però è un'opera importante perché in maniera fantasmagorica e in fin dei conti realistica racconta la forma e la perversione del regime comunista (simile a tanti regimi totalitari, con tanto di rivista culturale ufficiale, «Letteratura Nazionale»), altro che «una Cina che vive uno sviluppo tumultuoso a caccia del successo e del guadagno a ogni costo», come vorrebbe farci credere il risvolto di copertina dell'Einaudi: stai a vedere che mo' Mo sta parlando del capitalismo.Inoltre in ogni pagina sembra di entrare in una enorme cucina di gastronomia cinese estrema, dove si mangia di tutto: liquore di scimmia, cervelli di scimmia e funghi identici a cervelli di scimmia, ornitorinchi, fiumi d'aceto, glutammato a chili (per la gioia della Gabanelli e dei fans di Report), carpe, zoccoli di cavallo, palmi d'orso, asini le cui zampe vengono infilate in buchi per terra per tagliarli a trance ancora vivi, uno schifo, dopo un po' ti viene la nausea, ma sarebbe bello vedere cucinare una di queste pietanze da Antonella Clerici o Benedetta Parodi.L'ispettore Ding Gou'er presto non ci capisce più niente, si perde in un labirinto di depistaggi e personaggi ambigui, proprio come succede a Ingravallo nel pasticciaccio, ma qui non tanto per colpa dello «gnommero» gaddiano, il caos che domina l'universo. Piuttosto non si fa che bere dall'inizio alla fine, liquori e distillati a ogni riga, con un elogio dell'alcol in quanto elemento essenziale di ogni religione, sia che venga condannato (come nel buddismo e nell'islamismo), sia che venga elevato a sostanza mistica, come nel cristianesimo, nel quale «il vino è il sangue di Gesù, l'espressione materiale della sua volontà di salvare il mondo», e non per altro si chiama spirito (ma nella comunione cristiana a scolarsi il vino, chissà perché, è solo il prete).In ogni caso, in questo giallo tortuoso e allucinato di cui non si viene a capo, le descrizioni più morbose sono dedicate proprio ai bambini arrostiti, o meglio brasati, talvolta bolliti, veri o falsi che siano («sul vassoio c'è davvero un bambino, ma non lo sembra, ed è questo che ne costituisce il valore.
Ma la frase si sarebbe potuta formulare anche al contrario: in effetti quello sul vassoio non è un bambino, ed è questo che ne costituisce il valore»), con i piccini valutati e soppesati dai propri genitori per venderli al partito in quanto prelibatissima libagione (devono essere puliti e in buona salute). Comunque sia si arriva alla fine stremati ma soddisfatti, perché non ci sono più dubbi: è la prova scritta (da un Nobel) che i comunisti mangiavano i bambini. E quando lo disse Silvio lo presero in giro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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