Nel variopinto mondo della filosofia politica, ci sono vecchie abitudini dure a morire. Una di queste è la tendenza, da parte dei pensatori dell'ultra-sinistra, a mimetizzare le proprie idee (sempre le stesse) dietro una patina di apparente modernità. In genere, però, basta scalfire appena la superficie per ritrovarsi in mano i soliti due o tre dogmi marxisti, riciclati alla bell'e meglio e riproposti al pubblico come fossero novità assolute e rivoluzionarie.
Si tratta di un atteggiamento tutto sommato comprensibile, quando si è costretti a sostenere e divulgare teorie che la storia, regolarmente, si occupa di falsificare in modo impietoso. Del resto, come spiegava Karl R. Popper in tempi non sospetti, "il marxismo è morto di marxismo" proprio per l'ostinazione dei marxisti a voler proteggere il nocciolo duro del proprio paradigma scientifico con le ipotesi ad hoc più fantasiose e improbabili, ogni volta che la logica, i fatti o la storia ne smontavano un pezzo.
Non c'è da stupirsi, dunque, se oggi il mercato della saggistica politica ci propone titoli di chiara ispirazione marxista camuffati da trattati di futurologia. Sono le "ipotesi ad hoc" del tempo in cui viviamo. Nelle ultime settimane, dalla Gran Bretagna, di libri di questo genere ne sono addirittura arrivati due, quasi contemporaneamente: PostCapitalism: A Guide to Our Future di Paul Mason e Inventing the Future: Postcapitalism and a World without Work di Nick Srnicek e Alex Williams. La parola chiave dei due titoli, come è facile intuire, è "Post Capitalismo". Cioè l'ennesima profezia sulla fine cruenta delle economie basate sul libero mercato che da secoli ossessiona i pensatori della rive gauche. E le salse utilizzate per mascherare questa paccottiglia dal retrogusto marxista, come accennavamo, sono mutuate da quella bizzarra ma affascinante ibridazione tra new right e new left che caratterizzò la cosiddetta Californian Ideology (John Perry Barlow, Louis Rossetto) all'inizio degli Anni Novanta, prima che la stessa degenerasse evirata da ogni anelito libertarian nel determinismo tecnologico del Cybercommunism di Richard Barbrook, non a caso un altro sociologo inglese di scuola marxista.
Sì, perché anche se a prima vista i due libri in questione invocano parole d'ordine scomparse dal vocabolario della sinistra europea o americana almeno dalla fine degli anni Sessanta, in realtà la radice filosofica, economica e sociologica dei due lavori è, tristemente, sempre la stessa. Mason, Srnicek e Williams, si guardano bene dall'utilizzare termini come "socialismo", "socialdemocrazia" e "comunismo", ma la loro critica alla sinistra storica non è di sostanza, quanto di metodo. Negli ultimi decenni, insomma, la sinistra ha sbagliato perché non ha trovato il coraggio necessario per affermare che il superamento del capitalismo è "possibile e necessario". Mentre, al contrario, la fine del capitalismo non è mai stata così vicina.
In realtà questi fantomatici scenari del "post capitalismo" restano un orizzonte solo abbozzato, mai spiegato fino in fondo e definito unicamente per contrasto. Ma soprattutto il lavoro di Mason mette in mostra quell'imbarazzante tendenza allo storicismo cioè la convinzione che il dipanarsi della storia sia regolato da leggi immutabili che ha sbriciolato teorie anche migliori del marxismo.
Entrambi i libri, poi, condividono un visibile stato d'eccitazione a proposito dell'avvento di un "uomo nuovo" (anche questa un vecchio sogno marxista) in grado di traghettare l'umanità verso il post capitalismo. Srnicek e Williams indulgono spesso in fantasie al confine con il "transumanesimo".
Mason preferisce pensare a un "uomo connesso" capace, grazie ai social network, di diventare l'avanguardia, non del proletariato, ma di quella networked generation che ha dato vita alle cosiddette "primavere arabe" (un successone!) e ai vari movimenti "Occupy" in giro per il mondo.Nihil sub sole novum, insomma. Anche in piena rivoluzione digitale i marxisti restano marxisti. Solo che adesso, invece che a Baffone, credono a Twitter.
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