Auguri a Bernard Lewis, lo studioso centenario che ha spiegato l'islam

È stato il primo occidentale a basarsi principalmente sulle fonti in arabo. Ha capito e amato una civiltà senza scusarne i difetti

Auguri a Bernard Lewis, lo studioso centenario che ha spiegato l'islam

Arrivammo a Filadelfia da tutto il mondo, e fu un novantesimo compleanno molto allegro, precisamente dieci anni fa. Ci accolse Bouncy Churchill, elegante ed energica, grande viaggiatrice, il grande amore da almeno vent'anni di Bernard che compie 100 anni il 31 di maggio. Lui è il più grande storico del Medio oriente, il professor Bernard Lewis. Ancora british come il suo accento, come la sua giacca di tweed, come i suoi modi riservati nonostante sia negli USA dal 1974, Bernard oggi preferisce un compleanno più quieto. È il suo stile di sempre: riservatezza, understatement.

Ma alla festa per il suo novantesimo compleanno eravamo tanti. Abbiamo celebrato per due giorni. Ospiti dall'Oriente e dall'Occidente, laici e appartenenti alle tre religioni monoteistiche ci riunimmo per festeggiare lui e il suo contributo alla comprensione del mondo islamico. Insieme, rappresentavamo il complicato universo dell'uomo che per primo e più di tutti ha avuto il coraggio sia di amare l'Islam e di considerarlo parte essenziale degli studi umanistici occidentali, sia di individuarne la pericolosità. Già aveva parlato ancora giovanissimo dello «scontro di civiltà», già nel gennaio del '76 scriveva su Commentary: «L'Islam dalle sue origini è una religione di potere, e nel mondo musulmano è giusto e proprio che il potere sia gestito da musulmani, e dai musulmani soltanto. Gli altri possono ricevere la tolleranza, persino la benevolenza dello Stato musulmano, a patto che ne riconoscano la supremazia. Che i musulmani debbano governare i non musulmani è giusto e morale, che i non musulmani governino dei musulmani è un'offesa contro le leggi di Dio. L'Islam non è una religione nel limitato senso occidentale, ma una comunità, una fedeltà, un modo di vivere...».

Fra le massicce mura di quello che fu il Bellevue Stratford Hotel, famoso a Filadelfia per avere ospitato l'ultimo Zar, Nicola II, abbiamo discusso per un'intera giornata di Islam: c'erano tailleur e veli, cravatte e turbanti. Non c'era né approvazione né animosità nel discutere, ma una specie di ineluttabilità scientifica eppure affettuosa nel descrivere una realtà incandescente. No, né allora né oggi si è stati in grado di trovare il vaccino: forse nonostante quello che abbiamo creduto nel passato, esso non esiste. Ma Bernard, col suo innato ottimismo, cercò allora come cerca sempre di accendere una luce di speranza alla fine del tunnel. Sempre, nella sua immensa opera di analisi sulla descrizione del pericolo imminente e inevitabile all'orizzonte brilla una speranza di miglioramento: forse deriva dall'orgoglio britannico, forse dalla fiducia per la grande società americana democratica che lo ha ospitato per 57 anni.

Dozzine di saggi, tomi poderosi, letture innumerevoli, viaggi in aereo ma anche sul cammello, da giovane ufficiale di Sua Maestà, conoscenza di tutte le lingue mediorentali con accento accurato e persino esibito: così aveva potuto prevedere l'avvento del mostruoso regime di Khomeini quando tutti incensavano la rivoluzione iraniana, e poi capire, lui solo, la trasformazione in guerra senza quartiere della dichiarazione di guerra di Bin Laden contro «crociati ed ebrei». Noi abbiamo sempre saputo che Bernard ci può spiegare una cosa in più parlando dell'Islam, qualcosa che non ti aspetti.

Per questo, quell'anno venimmo tutti insieme a Filadelfia e prevedemmo l'addensarsi della tempesta nella sala delle conferenza, nei corridoi, a cena, a colazione. Fra la miriade di amici c'era il vicepresidente Dick Cheney, che venne apposta per Lewis, e anche Henry Kissinger, con cui Bernard spesso si intratteneva in conversazioni, c'era il leader dei Sufi, Sheikh Kabbani, sempre intento a trovare un contatto coi non musulmani; c'era Fouad Ajami, il grande storico libanese ormai scomparso che aveva avuto il coraggio di scrivere The dream palace of the arabs, il palazzo dei sogni della cultura araba, un critica senza pietà della sua stessa cultura; e poi Zyab al Suwaij, irachena, presidente del congresso islamico americano di Basra, Iraq, piena di sorrisi e di calore, e Ayian Hirsi Aly, ancora molto triste, da poco rifugiata in America, ferita dalla terribile persecuzione, ma fiera e pronta, come disse, alla battaglia.

E poi c'eravamo noi i suoi appassionati figliocci, Harold suo allievo e, Fiamma che l'aveva incontrato nel '91 e non se ne era mai più staccata, e Aydan Kodaloglu, una incredibile business woman turca legata allora al governo turco, e Ron Dermer, ora ambasciatore di Israele negli USA, Dan Diker, analista e direttore del World Jewish Congress in Israele, Martin Kramer, uno storico di prima classe, appuntito e severo... e tanti altri, con cui ci scusiamo perché non possiamo allungare troppo la lista. Bernard tenne in chiusura uno dei suoi discorsi senza un appunto, offrendoci una visione del mondo Islamico, un panorama immenso illustrato da cento citazioni testuali a memoria, un discorso perfetto che di nuovo compiva la magia di cui è sempre stato capace: essere fair e rispettoso verso l'Islam e insieme scorgerne i barbagli di furore.

Un amore condiviso con chi scrive è certamente Israele: Bernard l'ha alimentato di anno in anno passando tre mesi in una casa con la finestra sulle onde a Tel Aviv. Una volta una cena a casa di Fiamma a Gerusalemme ha messo insieme, oltre ad altri, Teddy Kollek, il mitico sindaco di Gerusalemme, un leone amato odiato da arabi e da ebrei, e Nashashibi, l'antico sindaco palestinese di Gerusalemme, tutti e tre con delle meravigliose giacche di tweed di taglio inglese, tutti e tre con il bicchiere di whisky in mano prima di cena. A quella cena, o a un'altra delle tante, c'era anche lo storico Benny Morris quando ancora biasimava gli israeliani per la fuga dei palestinesi durante la guerra del '48: Morris apostrofò Bernard sostenendo che non c'erano prove che gli arabi avessero invitato i palestinesi ad andarsene per poi farli ritornare sulla punta del loro fucile. Bernard spedì Fiamma a prendere un volume nello studio di casa, le ingiunse di andare a una certa pagina, e là lesse una nota in cui si citava l'appello del Primo Ministro Iracheno Nuri al Said e quello del primo ministro siriano Haled al Azim che chiedeva ai «fratelli palestinesi» di lasciare momentaneamente le loro case. Morris tentò di reagire, ma Bernard sempre cortese e disposto ad ascoltare, chiuse i battenti. Forse Benny, uomo intelligente ha tenuto in conto l'atteggiamento di Lewis quando ha cambiato idea. Bernard ha fatto cambiare idea a tanta gente.

È inutile qui ripercorrere l'immensa bibliografia di cui tutti conoscono almeno Il Medio Oriente, Il Medio Oriente e l'Occidente, Gli arabi nella storia, Semiti e antisemiti... Preferiamo ricordare di lui che è il sottile senso del suo lavoro quello che più colpisce oggi: è l'unico storico che si è basato interamente su fonti ottomane e arabe quando gli arabi chiudevano le porte agli studi occidentali. La sua esposizione è veramente globale. Legge la storia del Medio Oriente comprendendo che la sfida e l'impatto occidentale sul mondo islamico sono il vero spartiacque che determinerà il futuro di tanta parte dell'umanità. Per questo What went wrong, un libro cristallino che spiega tutto ciò che vediamo intorno a noi oggi nel mondo islamico, è un grido di dolore.

Per questo la sua quieta ma costante e ripetuta predilezione per Israele è sempre stata tanto paterna e calda di fronte al rifiuto arabo. Vogliamo concludere festeggiando il centesimo compleanno di Lewis, condividendo l'augurio ebraico che gli fece il vicepresidente Cheney a Filadelfia: Bernard, ad mea ve esrim, fino a centoventi anni!

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