Il Beethoven di Muti è una sinfonia che unisce i popoli

Al Teatro di Erode Attico di Atene la Nona come immortale simbolo di fratellanza

Il Beethoven di Muti è una sinfonia che unisce i popoli

Nel meraviglioso emiciclo di pietra del Teatro di Erode Attico ad Atene, alle falde dell'Acropoli, quest'anno si è svolta la prima parte del tradizionale appuntamento «Le vie dell'amicizia», manifestazione di Ravenna Festival in collaborazione con il Festival di Epidauro, che ha unito circa duecento fra coristi e musicisti italiani e greci nell'esecuzione della Nona sinfonia di Beethoven sotto la direzione del maestro Riccardo Muti.

In questo luogo straordinario anche sotto il profilo acustico - si udivano perfettamente enucleati gli interventi dei fiati come il frinire ostinato di alcune cavallette dalla sommità - l'ascoltatore viene avvolto dalla storia. Ci si sente immersi nella culla della nostra civiltà, occidentale e democratica, e si riflette istintivamente sull'attualità del messaggio di fratellanza che Beethoven lanciò nel suo commiato sinfonico a tutti gli uomini, senza distinzione di confessione politica e religiosa, attraverso i versi di Schiller (il famoso Inno alla Gioia). E proprio quando nell'ultimo movimento, dopo l'originale introduzione-recitativo di violoncelli e contrabbassi, sgorga il tema portante dell'Inno alla Gioia, abbiamo pensato alla pochezza di certi uomini. Troppo recente il gesto, definito generosamente provocatorio, di un gruppo di eurodeputati proBrexit che intendevano segnalarsi, alla cerimonia di inaugurazione del nuovo parlamento, girandosi e mostrando le terga ad alcuni eccellenti ragazzi che suonavano quel tema, diventato l'inno dell'Unione Europea. Gesto che nell'antichità avrebbe meritato loro l'ira degli Dei (Apollo li avrebbe trasformati in qualche animale poco nobile), e in tempi moderni quella, non meno temibile, del Nume Beethoven.

I cinquemila spettatori ateniesi, invece, hanno seguito il concerto con civica attenzione, cercando di manifestare il loro consenso alla fine di ogni movimento, rimproverati dagli zittii dei sapienti che non volevano si interrompesse il sacro rito - ma chissà perché, per quale legge, deve essere vietato applaudire dopo il tellurico primo tempo, o dopo il brillante scherzo, o dopo la decantazione lirica del molto adagio? Sarebbe un tabù che in certi casi bisognerebbe rompere. Alla fine, come da rituale concertistico, l'Odeion è esploso. Lo meritavano i giovani musicisti italiani e i colleghi delle maggiori orchestre elleniche (le orchestre di stato di Atene e Salonicco, la filarmonica e la sinfonica ateniese e quella della radiotelevisione greca) e gli artisti dei tre cori (il Costanzo Porta, quello della Radiotelevisione ellenica e il Municipale di Atene). Lo meritavano anche i quattro solisti di canto (il soprano Maria Mudryak, il mezzosoprano Anastasia Boldryeva, il tenore Luciano Ganci e il basso Evgenij Stavinskij), alle prese con una scrittura vocale scomoda e impiccata, che ha sempre sollevato, e sempre solleva, dubbi sul difficile rapporto Beethoven-voce umana.

Nella «Gioia» del momento, il maestro Muti, che stupisce sempre per la capacità di amalgamare, di rendere coese forze eterogenee in tempi strettissimi, trasformandole in un gruppo unitario, ha attribuito il merito alla musica, unificatrice di popoli. Il maestro Muti ha ringraziato in inglese tutti gli artisti del coro e i musicisti (non è sfuggito un gesto ad personam al primo violino della Scala, Francesco Manara, sua autentica «spalla» in questa non facile operazione) e quanti si sono adoperati per realizzare la complessa doppia trasferta (dopo Atene il concerto sarà replicato questa sera al Pala De André di Ravenna).

Poi ha stoccato col sorriso la bacchettata più ficcante. Pareva una semplice domanda, e poteva essere un'affermazione. Dopo aver ricordato sinteticamente quanto abbiamo premesso in quest'articolo, vale a dire l'emozione che si ricava in un luogo così bello e storicamente fondante, e i vincoli culturali che serrano Grecia e Italia da millenni, Muti ha chiesto al pubblico: «Cosa significa Europa senza l'Italia e senza la Grecia?». La risposta è stata un boato di grida e di applausi. La risposta più bella alla pantomima di Bruxelles. Agli improvvisati pantomimi isolazionisti forse qualcuno potrebbe ricordare che fra i significati del nome Europa c'è quello di «ampio-sguardo».

E anche che furono i Greci a chiamare Europa le terre a nord dell'isola di Creta, in omaggio alla fanciulla rapita e amata da Zeus, poi moglie del re dell'isola.

«Le vie dell'amicizia» si confermano una manifestazione unica nel suo genere. Una manifestazione che non lancia proclami, dove non si firmano protocolli, ma si riannodano vincoli umani inscindibili.

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