Brani d'autore, rock e (timido) rap Ecco l'altra faccia dell'amore

Tra i 20 titoli convincono quelli di Stadio, Noemi e Arisa. Elio stupisce sempre, Ruggeri molto potente. Conti: "Arriveranno Elton John, Elisa ed Ellie Goulding"

Brani d'autore, rock e (timido) rap Ecco l'altra faccia dell'amore

Insomma al primo ascolto sembra che il livello medio delle canzoni in gara questa volta sia cresciuto. Carlo Conti e la sua squadra hanno selezionato venti canzoni per un Festival di Sanremo molto pop, complessivamente votato alle esecuzioni orchestrali, senza particolari squilli testuali ma con tre derapate distinte. La prima è quella rock vecchio stile, che poi è la più sincera. Sia gli Stadio con Un giorno mi dirai (applausi della stampa durante gli ascolti) che il veemente Enrico Ruggeri di Il primo amore non si scorda mai (tre cambi di tempo, finale impetuoso) dimostrano di saper scrivere canzoni destinate a rimanere, con testi che lasciano il segno. Come quello scritto da Gaetano Curreri pensando ai corsi e ricorsi storici dell'amore con un dialogo tra padre e figlia (un giorno «riderai di me»). O con strutture musicali riconoscibili perché uniche (Ruggeri è al suo meglio). Poi c'è la vena autorale che Patty Pravo sublima in Cieli immensi (scritta da un sempre più prolifico Fortunato Zampaglione), la convincente coppia Caccamo e Iurato in Via da qui con testo di Giuliano Sangiorgi (occhio che loro due vanno forte), Dolcenera in una ballata nella quale la sua voce increspata è meglio che mai (e in Ora o mai più c'è uno stacco di gospel bianco da applausi) e Rocco Hunt con Wake up, in sostanza una sorta di pop napoletano stile Tullio de Piscopo e Tony Esposito in versione rap, trascinante e arguto nei testi: «Tutti dietro la tastiera e mo' chi a fà a rivoluzione?»). Piccola parentesi per Valerio Scanu: Finalmente piove scritta da Fabrizio Moro è il modo migliore per zittire chi lo critica: testo e interpretazioni convincenti. Infine c'è l'onda lunga dell'edm, l'electronic dance music portata l'anno scorso da Nek: e l'Alessio Bernabei di Noi siamo infinito farà ballare l'Ariston convincendo di primo acchito forse più dei Dear Jack (comunque in gara con un brano più convincente di quello dello scorso anno).E se Neffa è Neffa, quindi un peso massimo della canzone con una Sogni e nostalgia molto vintage e assai convincente, Lorenzo Fragola rimane ancora una volta tra color che son sospesi con Infinite volte (manca una personalità compositiva ben definita), Noemi convince tutti (La borsa di una donna strappa applausi per una interpretazione maestosa), Irene Fornaciari canta di «un bambino sulla spiaggia lasciato dal blu» che fa venire in mente la tragedia di Aylan e rende giustizia al talento di questa figlia d'arte spesso troppo sottovalutata. Infine c'è Annalisa de Il diluvio Universale, pezzo complesso sulla solitudine d'amore, innervato da una parolaccia, puttana, che però non è una sorpresa all'Ariston: già nel 1981 Luca Barbarossa la usò in Roma spogliata. Francesca Michielin, poi, è sempre alla ricerca di superare il limite e in Nessun grado di separazione (cofirmata tra gli altri dal bravo Cheope, figlio di Mogol) si impegna a spiegare perché «non c'è nessuna divisione tra noi». Infine, in questo sessantaseiesimo Festival che conferma una stabilità solida nelle canzoni, ci sono i cosiddetti «fuori dal coro», difficilmente inquadrabili. Come i Bluvertigo. In Semplicemente (firmato solo da Morgan) confermano il loro Dna con una struttura musicale farcita di elettronica anni '80 e intarsi complicati al limite del manierismo: li compensa un testo quasi neoralista che con istantanee di vita quotidiana: «Poi mettere i libri sullo scaffale e i dischi nel mobile bianco/È semplicemente anche un fatto da niente, attraversato dalla corrente nello spazio e nel tempo». Poi c'è Arisa, una che sa cantare come pochissime altre (ha preso applausi durante l'ascolto) e stavolta in Guardando il cielo si appoggia a un testo del bravissimo Giuseppe Anastasi, sempre ispirato. Alla fine, chi sta davvero fuori dal coro per ragione sociale sono gli Elio e Le Storie Tese, che un'altra volta danno un senso alla parola geniale: in Vincere l'odio ci sono sette cambi di tempo, si passa dal «Femminiello che vivi a Napoli» a cori stile stadio San Paolo per chiudere con una strofa quasi scolastica eppure irresistibile: «E il messaggio che noi qui vogliam comunicare con questi ritornelli è: vincere l'odio». Tutto bello, tutti bravissimi, anche Elio che sul «Vincere» passa dall'imitazione di Massimo Ranieri in Perdere l'amore a un accenno pseudo pavarottiano del Vincerò. Comunque vada, hanno già vinto il loro personalissimo premio (e non è detto che non vincano proprio il Festival, sarebbe la prima volta). Manca Clementino, con il suo rap venato di napoletano che però rimane fermo ai suoi stilemi tipici e gli Zero Assoluto con Di me e di te, un up tempo sull'«amore che fa a pugni senza guanti». Insomma, mentre Carlo Conti annuncia le venti canzoni delle cover (attesi Clementino con Don Raffaè di De Andrè e Michielin con Il mio canto libero di Battisti) e conferma che ci vince sbarcherà poi all'Eurovision Song Contest, vengono confermati altri ospiti: Elton John, che canterà Blue wonderful, Elisa ed Ellie Goulding, inglese che da due anni non ne sbaglia una.

il direttore Leone precisa un dettaglio che spesso passa inosservato: è il Festival di Sanremo a portare soldi alla Rai (5 milioni di attivo) e non viceversa. Così, tanto per spiegare che gli eventuali cachet pagati non gravano sui bilanci pubblici.

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