Citazione sul tempo e la vita: profluvio di foto di tramonti, linee dell'orizzonte, prati soleggiati... Citazioni sull'amore: foto di donna di schiena, nuda, visi nascosti da braccia e mani; gambe raccolte, schegge di seni, profili... Sfuocato è meglio. Comunque sempre in bianco e nero. Citazioni poetiche: di solito rose e roseti; a volte anche alberi da frutta, preferibilmente peschi in fiore (chissà perché). Citazioni sulla lettura, la capacità di illuminazione dei libri, il potere salvifico della conoscenza? Questa è facile: la foto della Holland House Library, Londra 1940, con il tetto crollato e i tre visitatori, indifferenti alle macerie, intenti a frugare con lo sguardo fra gli scaffali intatti...
E poi citazioni sull'amicizia (animaletti felici), il viaggio (mari, ponti, ferrovie...), il sesso (meglio qualcosa di rosso, dalle fragole alla scarpe col tacco), l'arte (va bene qualsiasi capolavoro: con Caravaggio, Picasso e Frida Khalo non si sbaglia mai).
Postate, postate, qualcuno ritwitterà.
Il filo digitale che lega i social alle frasi di scrittori famosi è lungo e robustissimo. Affidare a Facebook e Twitter citazioni di grandi romanzieri e poeti è veloce, non particolarmente impegnativo, a prova di haters (al limite i followers le ignorano) e ti fa sentire più colto di quello che sei: in qualche modo è come se ti attribuissi una parte della verità del post.
Sì, tutto giusto. Ma quali scrittori? I più amati sui social dagli italiani sono - secondo statistiche non verificate - Alessandro Baricco (ha anche scritto The Game...), Umberto Eco (pre e post mortem), Primo Levi (untouchable), lo scontatissimo Oscar Wilde (ha anche stufato), Antoine de Saint-Exupéry con Il piccolo Principe. E poi, ognuno sceglie il suo...
Noi, ad esempio, prendendo in mano Il malpensante, lunario dell'anno che fu, appena ripubblicato da Bompiani (uscì la prima volta nel 1987), formidabile raccolta di aforismi, sentenze, note, osservazioni, giudizi tra lo zibaldone di pensieri e gli appunti di un diario filosofico, ci siamo accorti che Gesualdo Bufalino (1920-96), al netto del romanziere naturalmente, fu - e rimane ancora oggi - uno strepitoso autore a misura di tweet. Per intelligenza, ironia, quantità della materia e varietà degli argomenti, forse il migliore. Non solo. Bufalino negli aforismi è attualissimo. La brevitas del resto è già un viatico all'eternità.
Sfogliare Il malpensante (a cui andrebbe aggiunto, e confidiamo una prossima ristampa, Bluff di parole, del 1994) è un divertimento assoluto e un'occasione di riflessione continua. Battute, paradossi, provocazioni, note sociologiche, profezie: su ogni argomento - amore, politica, sesso, rivoluzione, arte... - ha sempre il tweet perfetto. «Sospetto un pizzico di vanità nei miei sfoggi d'angoscia» (avete presente le ragazzine che postano foto in bikini striminziti... «Oddio, come farò ad andare in spiaggia!» #provacostume). «Certi libri già dopo tre righe mostrano un radiatore che fuma» (che è una splendida stroncatura in molto meno di 280 caratteri). «I pregiudizi han più sugo, talvolta, dei giudizi» (sembra un buon titolo sull'anti-politicamente corretto). «Paura, entrando alla Rinascente, di non essere più nessuno, di ambulare morto fra morti» (cinque anni prima che Marc Augé, nel 1992, parlasse di «non-luoghi»: immaginiamoci cosa avrebbe scritto Bufalino se avesse visto un Outlet Village). «Se Dio esiste, chi è? Se non esiste, chi siamo?» (pensate questa frase sotto una bella fotografia della volta della Sistina, o di Jude Law in The Young Pope). «I giovani hanno mangiato i vecchi. Quanto a digerirli...» (il concetto di rottamazione in un tweet).
Bufalino era uomo di immensa cultura, bibliofilo (riguardo ai problemi del suo presente, affermò: «La cura è una sola: libri libri libri», ma la frase oggi vale doppio), citava a memoria interi passi di romanzi e poesie, cinefilo assoluto, esperto di musica. Poteva parlare di tutto (raramente a torto). E infatti lo fece. Aveva una facilità di scrittura, e una conoscenza della lingua in tutte le sue sfumature (parlava anche in latino), che gli permetteva di giocare tra alta filosofia e irresistibili calambour. In più, sapeva che «In un mondo d'arrivisti buona regola è non partire».
Infatti passò quasi l'intera vita nella sua
Comiso (fece bene, la Sicilia è così bella) a divorare carta e riempirla di parole: romanzi, poesie, traduzioni, saggi. E motti, macerie di diario, pensieri à gogo. Di cui si consiglia un assaggio, anche parziale e vagabondo.
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