Con l'ascesa al soglio pontificio di papa Francesco una serie di tematiche pauperiste si sono imposte nell'azione pastorale e nella riflessione teologica. Larga parte della Chiesa sembra fare proprie idee provenienti dall'ideologia socialista, ma in parte si tratta del riaprirsi di antichi dibattiti.
Nella fase finale del Medioevo, ad esempio, attorno al tema della povertà e delle stesse condizioni economiche di Cristo si giocò un'aspra contesa tra il partito papale (avverso al pauperismo) e quello imperiale, spesso sostenuto da studiosi dell'ordine francescano. Due figure cruciali del XIV secolo come Michele da Cesena e Guglielmo da Ockham parlavano contro la ricchezza per mettere sotto accusa la Curia romana, anche con l'obiettivo di avere un Papato privo di ogni presenza nella dimensione storica, sociale, economica.
Un'occasione per riflettere su tali questioni la offre ora un lavoro di don Beniamino Di Martino, Ricchezza e povertà. Esegesi dei testi evangelici (edizioni Edi, pagg. 160, euro 14). Si tratta di un volume esegetico, che mira quindi essenzialmente a interrogare i testi in ciò che dicono: prendendo in considerazione il contesto storico, l'influenza esercitata dall'evangelista (le scritture sono comunque un'opera umana) e quindi i molti condizionamenti contestuali.
Da tempo Di Martino sviluppa le proprie riflessioni nell'ambito della storiografia, della teologia morale e della dottrina sociale della Chiesa, prestando un'attenzione particolare alle tesi della scuola austriaca e al liberalismo classico. In questo lavoro sulla ricchezza il suo intento è di avviare grazie alla lettura scientifica dei testi evangelici un percorso di studio in più volumi che in seguito dovrà esaminare il significato della povertà nella vita del cristiano, la formula della «opzione preferenziale per i poveri» e, infine, la teologia della liberazione e le sue derive.
Di Martino utilizza ampiamente le ricerche di un grande biblista italiano scomparso qualche anno fa, don Angelo Tosato, che indagò il tema della povertà entro una prospettiva liberale e quindi avversa a quell'autoritarismo che è sotteso alle logiche pauperistiche. Nel testo si individuano così quattro filoni interpretativi: riconoscendo la fondatezza e la plausibilità di ogni di essi.
Un primo gruppo di brani sembra suggerire che la povertà materiale sia una specie di requisito indispensabile per la salvezza e quindi essi sono ancora più radicali di quelli, il secondo gruppo, che vedono nelle ricchezze solo un serio ostacolo: un peso di cui comunque è bene non caricarsi troppo. C'è poi un terzo gruppo di testi della Scrittura dove invece la condanna è unicamente per la disonestà e per l'idolatria della ricchezza, mentre in un quarto e ultimo gruppo i beni materiali sono valutati in maniera positiva, quali talenti da valorizzare.
Le pagine di Povertà e ricchezza ci dicono allora che letture favorevoli alla ricchezza, ai beni materiali e alla dimensione economica e produttiva trovano, nel testo dei vangeli, tutta una serie di solidi argomenti. Non sono le uniche possibili e non annullano le altre di segno diverso, ma al tempo stesso non possono essere ignorate e cancellate.
In fondo, questa esegesi aperta al valore della proprietà sembra in sintonia con molte voci del passato.
Basti pensare a un tomista come Domingo de Soto, persuaso che senza proprietà non vi potesse essere generosità e, di conseguenza, neppure l'umiltà di chi è riconoscente. Senza alcuna ricchezza la vita morale stessa, per questo teologo del Cinquecento, avrebbe finito per inaridirsi.
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