Nelle foibe sono stati gettati «soltanto criminali di guerra». Non è mai stata messa in atto un'operazione di pulizia etnica nei confronti della popolazione italiana da parte dell'esercito di Tito. Le vittime sono state al massimo qualche centinaio e in gran parte erano criminali nazisti. Queste in sintesi le tesi di Alessandra Kersevan, ricercatrice e coordinatrice del gruppo «Resistenza Storica», invitata da Serena Pellegrino di Sinistra Italiana a tenere una conferenza a Montecitorio ieri, ovvero proprio alla vigilia della Celebrazione del Giorno del ricordo in memoria delle vittime delle foibe e degli esuli istriani istituita per il 10 febbraio con una legge del 2004. Una legge che per la Kersevan è ovviamente un errore perché, dice, premia il ricordo di «collaborazionisti, filo nazisti e criminali di guerra che operarono sul confine orientale in Friuli Venezia Giulia, Istria e Dalmazia». Ricordare le vittime delle foibe è un errore perché non si trattava di civili innocenti. «Il gruppo Resistenza Storica non è negazionista», sostiene la Kersevan, sostenuta dalla Pellegrino che annuncia pure querele per chiunque accusi di negazionismo la Kersevan, come hanno fatto molti esponenti del centrodestra, da Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che hanno duramente contestato l'iniziativa.
Forse per le tesi della Kersevan non si può parlare di negazionismo, ma di «giustificazionismo» assolutamente sì, secondo lo storico Gianni Oliva, autore di numerosi saggi sul Novecento e in particolare di un'opera sulla tragedia dell'esodo degli italiani d'Istria, Fiume e Dalmazia. «Certamente - attacca Oliva - ogni evento storico ha un prima e un dopo e anche il dramma delle foibe va contestualizzato. Ma ciò che accade prima non giustifica mai quanto si verifica dopo. Le foibe sono stato il prezzo pagato dall'Italia per aver perso la guerra». Oliva smonta pezzo per pezzo le tesi della Kersevan, come quella che minimizza il numero delle vittime: migliaia e non centinaia. «Quando i fatti avvengono - spiega lo storico - nessuno tiene i conti, ma non c'è dubbio che i numeri siano stati minimizzati dalla sinistra ed amplificati dalla destra. Ho studiato documenti conservati a Washington e Londra. Le relazioni inviate dalle truppe americane ed inglesi giunte a Trieste subito dopo il passaggio di Tito. I militari non avevano interesse a deformare la verità e le vittime accertate in quei documenti sono tra le 8mila e le 10mila. E comunque non vedo che cosa cambi. Che cosa cambia se gli ebrei sterminati sono stati 4 milioni invece di 6? Non vedo la differenza».
L'operazione compiuta dall'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia è stata senza dubbio, per Oliva, una operazione di pulizia etnico politica. «Tito - aggiunge - per tenere insieme sloveni, serbi e croati, popolazioni che di recente sono tornate a scontrarsi, aveva bisogno di esaltare l'ideale di una nazionalità slava. Ecco perché la sua strategia prevedeva la slavizzazione di Trieste. E per farlo era necessario eliminare del tutto anche una classe dirigente che identificava quell'area come italiana. Dunque sì, ci fu pulizia etnica per un preciso scopo. E tra le vittime finirono pure gli appartenenti al Comitato di liberazione nazionale, anche gli antifascisti». Oliva poi sottolinea che oltre alla tragedia delle vittime trucidate nelle foibe non si deve dimenticare quella dei profughi. «La tragedia degli esuli, circa 300mila persone private di tutto - ricorda -.
Voglio rimarcare la differenza con i migranti che partono nella speranza di un futuro migliore e con la prospettiva di tornare. Speranza negata all'esule. Migliaia di persone sparpagliate in 109 campi profughi e visti dagli italiani, nel difficile momento del dopoguerra, soltanto come altre bocche da sfamare».
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