Charlotte, l'eroina della famiglia Brontë

Bruttina ma determinata come la sua creatura Jane Eyre sotto il perbenismo borghese celava una vita appassionata

Charlotte, l'eroina della famiglia Brontë

La vita di un uomo di valore, scrisse una volta il poeta inglese John Keats, è un'allegoria. Un aforisma che ben si modella all'esistenza di Charlotte Brontë, della quale ricorre oggi il secondo centenario della nascita (nacque nel villaggio di Thornton, nello Yorkshire, il 21 aprile del 1816). Per l'occasione arrivano in libreria tre titoli che la celebrano.

Iniziamo con una nuova edizione del suo romanzo d'esordio: Il professore (Fazi, pagg. 304, euro 18, trad. Maria Stella). Il primo a essere stato scritto (nel 1846) ma l'ultimo a essere pubblicato, nel 1857, quando l'autrice era già da tempo morta di parto insieme con la creatura che portava in grembo, il 31 marzo del 1855, tre settimane prima di compiere 39 anni. Il secondo volume, sempre per i tipi di Fazi, è la biografia di Lyndall Gordon Charlotte Brontë. Una vita appassionata (pagg. 496, euro 18, trad. Nicola Vincenzoni). Proprio in questo testo incontriamo la citazione di Keats. Lyndall Gordon iniziò a lavorare alla biografia nei primi anni Novanta per rendere giustizia all'autrice di Jane Eyre, relegata dall'immaginario collettivo a un ruolo secondario nella società letteraria, complice soprattutto la curiosa storia di lei e delle sue sorelle Anne ed Emily. Quando si parla di loro si evocano brughiere desolate, lunghe giornate davanti a un caminetto, le devozioni religiose, e soprattutto la mancanza di mariti e di salute (con i suoi 39 anni sfiorati, Charlotte fu la più longeva delle tre). E invece il contributo che Charlotte offrì è stato clamoroso, quasi «rivoluzionario», e i semi da lei piantati sono esplosi in piante rigogliose, come testimonia il volume collettivo, il terzo della nostra lista, che Neri Pozza manda in libreria.

Si tratta di L'ho sposato, lettore mio (pagg. 300, euro 18, trad. di Alessandro Zabini) un'antologia curata dalla scrittrice di Washington Tracy Chevalier (quella della Ragazza con l'orecchino di perla). Ventuno storie d'amore diverse per sensibilità e scrittura che ruotano intorno a una medesima eroina, donna determinata e coraggiosa, perennemente in lotta contro pregiudizi e ostacoli sociali. Proprio come Charlotte, la quale non fece altro che scrivere storie di istitutrici e governanti, perché sono questi i ruoli cui venne relegata per tutta la vita.

Charlotte era figlia di un pastore anglicano di origine irlandese che una volta giunto in Inghilterra cambiò il cognome da Brunty in Brontë, in omaggio a Horatio Nelson, quando questi fu nominato duca di Bronte (in Sicilia) nel 1799. Nel 1821 muore la madre per un cancro allo stomaco. E il pastore Patrick Brontë, poco avvezzo alla cura dei figli, li affida alla cognata. Erano sei, tutti giovanissimi. Tra loro un solo maschio, Patrick Branwell, il primo a veder pubblicata una sua lirica, ma finito alcolizzato, schiacciato dalla pesante figura paterna. Le tappe della vita di Charlotte si possono contare sulle dita di una mano. Tra queste, di estrema importanza il soggiorno a Bruxelles (1842-43) per imparare il francese, mantenendosi come istitutrice in un collegio femminile insieme con la sorella Anne. Nella capitale belga vive il suo primo e sfortunato amore, per il professor Constantin Heger, di sette anni più vecchio di lei. Ma non era stato il solo spasimante. Anzi. La lista era lunga, a dispetto di Charles Dickens e di William Thackeray, i quali la bollarono come la «classica zitella».

Dal lavoro della Gordon emerge invece una donna motivata e consapevole del proprio talento. E per non limitare il suo coraggio e la sua sete di verità decise di trincerarsi dietro uno pseudonimo maschile (Currer Bell). Il motivo lo spiega bene in una lettera all'amica e sua prima biografa (ma dovremmo dire agiografa) Elizabeth Gaskell, la cui testimonianza oggi vale soprattutto per notazioni marginali, come la mania del padre, trasmessa alle figlie, per la cucina vegetariana. «La ragione principale per rimanere nell'anonimato è il timore che, abbandonandolo, la forza e coraggio vengano meno». Ironia vuole che quando si tratta di scegliere il nom de plume, la scelta cade su quello del giovane curato approdato nella parrocchia del padre nel 1845. Quello stesso Arthur Bell Nicholls che finirà per impalmare l'autrice di Jane Eyre nell'aprile del 1854.

Insomma, il nome era un problema di libertà espressiva, non di timidezza come per altre scrittrici. E le prove di quanto fosse previdente non tardarono. Fu proprio una giornalista per prima a scagliare contro l'autrice di Jane Eyre pesanti critiche. «Se a scriverlo è stata una donna - scrisse Elizabeth Rigby - è una donna che ha rinunciato per qualche ragione alla compagnia del proprio sesso». La stessa Gordon riconosce che nell'istitutrice bruttina del celebre romanzo si nasconde buona parte del «personaggio» Charlotte, così moderno, così evoluto. Un'eroina che riesce a conquistarsi un posto nel mondo senza l'aiuto della bellezza o di una dote. Eppure Charlotte non smette mai di spiazzare. Come per la sua rinuncia alla letteratura una volta divenuta moglie.

Da quell'aprile, in verità, passerà soltanto un anno prima della morte. Eppure non toccò più penna, decidendo di consacrarsi al marito. E così si è chiusa la vita di una donna e si è aperta l'allegoria di una grande scrittrice.

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