Ci vuole tutta l' "Arte"di Yasmina Reza per riempire la tela bianca

Torna la pièce in cui la scrittrice franco-iraniana ironizza su senso e costi delle opere delle arti-star

Ci vuole tutta l' "Arte"di Yasmina Reza per riempire la tela bianca

L'amicizia è un foglio bianco, su cui appuntare ricordi e pensieri, per vincere la prova del tempo. E se invece fosse un quadro? Bianco. Sopporterebbe la sfida?

La pièce «Arte» di Yasmina Reza - da anni nome di punta del teatro internazionale ma che il grande pubblico conosce come autrice del Dio del massacro da cui Roman Polanski nel 2011 trasse il film Carnage - è in effetti una sfida. Al valore dell'amicizia virile e al senso dell'opera d'arte. La commedia - un classico sul «contemporaneo» - andò in scena per la prima volta nell'ottobre 1994, alla Comédie des Champs Elysées di Parigi, poi ha girato il mondo, è stata tradotta in trenta lingue, è uscita nella collana «Teatro» di Einaudi nel 2006 e ora ritorna, in una nuova traduzione (di Federica e Lorenza Di Lella), grazie ad Adelphi, che ha già in catalogo altri tre titoli della scrittrice (francese di nascita, iraniana di origine) già di culto.

Momento Yasmina Reza. Al Teatro Carcano di Milano dal 18 al 28 ottobre andrà in scena il suo Bella figura, con Anna Foglietta, Paolo Calabresi e Simona Marchini, per la regia di Roberto Andò. Mentre «Arte», che arriva da Torino, è appena passato dal Teatro Fontana di Milano, per la regia di Alba Maria Porto e interpretato da Mauro Bernardi, Elio d'Alessandro e Christian La Rosa. Ed eccoli qui, i tre amici in scena: Serge un dermatologo, collezionista di arte contemporanea («fa parte del Gotha dei grandi appassionati»), Marc un ingegnere aeronautico, dai gusti tradizionalisti (o conservatori?), e Yvan, suo malgrado rappresentante di articoli di cartoleria e obtorto collo prossimo al matrimonio, il quale tiene così tanto ai suoi due amici che per non perderli è pronto a mentire, a entrambi. Siamo negli anni Ottanta, ma potrebbe essere oggi. L'ambiente è borghese e mondano, perfetto anche di questi tempi: carriera, psicanalisi e debolezze radical chic. La città è Parigi, ma potremmo essere a Londra, dove si è appena chiusa «Frieze Art Fair», la fiera più cool dell'arte e dove, da Sotheby's, davanti a un pubblico frastornato, qualche giorno fa si è auto-distrutto un quadro di Banksy appena venduto per un milione di sterline... Difficile dire, oggi, cosa esattamente sia un'opera d'arte. Una forma di pensiero? Solo bluff? Puro business?

Dunque c'è Serge, il quale ha appena acquistato un quadro, «un Antrios» («È una tela di circa un metro e venti, dipinta di bianco. Il fondo è bianco. E strizzando gli occhi si possono intravedere delle sottili filettature diagonali, bianche»), pagandolo duecentomila franchi. Poi c'è Marc, sconvolto: «Serge, non puoi aver pagato questo quadro duecentomila franchi». «Ma, caro mio, li vale tutti. È un ANTRIOS!». «Non puoi aver pagato questo quadro duecentomila franchi!». «Lo sapevo che non avresti capito». «Hai pagato questa merda duecentomila franchi!». E infine Yvan, punto di equilibro fra i due amici e le due posizioni: lui ne fa una scelta di gusto personale. C'è a chi piace, e a chi no...

Domanda. Anzi, domande suscitate da Yasmina Reza: esiste un criterio assoluto per giudicare un'opera d'arte? Quale è il rapporto tra «gusto e «arte»? E quello tra denaro e opera? E soprattutto: fino a che punto un'amicizia può essere messa alla prova da giudizi diversi sul concetto di «Bello»?

Tre persone diverse, tre modi di vedere (o non vedere) la stessa tela bianca, tre idee di arte. Serge, in maniera assoluta, crede che l'arte costi perché vale («Si può dire Non vedo, Non colgo, non si può dire È una merda»). Marc, in maniera oggettiva, crede che valga perché costa («Io non credo nei valori che informano l'Arte di oggi... la legge del nuovo. La legge della sorpresa... La sorpresa è una cosa morta. Morta appena concepita...»). E Yvan, in maniera soggettiva, accetta come possibili entrambe le posizioni («Io non sono così severo... È un'opera, c'è un pensiero dietro»).

Davanti agli occhi Yasmina Reza ci mette invece una commedia - i cui dialoghi non hanno nulla da invidiare a Carnage - sarcastica, raffinata, tagliente. Che parla di arte al tempo delle arti-star (quando l'acquisto di un quadro bianco serve «per consolidare la nuova posizione sociale»). E nello stesso tempo di amicizia tra uomini, fatta (anche) di rivalità, non detti, orgoglio e risentimenti e che ormai si è infilata - innescando un gioco al massacro - in una spirale perversa (impossibile da fermare?). «È per l'Antrios, per l'acquisto dell'Antrios? No... Il male viene da più lontano. Viene esattamente dal giorno in cui, parlando di un'opera d'arte, hai pronunciato, con la massima serietà, la parola decostruzionismo. Non è tanto il termine decostruzionismo che mi ha sconvolto quanto la solennità con cui l'hai proferito. Hai detto seriamente, senza distacco, senza un briciolo di ironia, decostruzionismo, tu, il mio amico...».

La tela è uniformemente bianca. Ma le sfumature dell'amicizia infinite. La discussione appare banalmente «estetica». Ma al fondo di ogni rapporto ciò che rimane è l'etica. La realtà delle cose è davanti agli occhi di tutti, lì sulla tela. Ma la verità è nascosta da un velo d'ipocrisia, e s'intravede appena sulla superficie.

Alla fine, l'affresco delle meschinità e delle debolezze umane è vario e coloratissimo.

Eppure la tela - prima immacolata, poi sfregiata, quindi ripristinata nell'originale candore - resta impietosamente bianca. Alla fine, guardandola, come in tanta arte contemporanea, ognuno può vederci quello che vuole: «Rappresenta un uomo che attraversa uno spazio e scompare». Che, dopo tutto, è una metafora perfetta. Per qualsiasi cosa.

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