di Paolo Giordano
Mai sottovalutare il pubblico. Lezione fondamentale per chi lo voglia avere, un pubblico. La fiction di Raiuno Caruso - La voce dell'amore, in onda ieri e stasera su Raiuno, se ne è dimenticata. È diventato un melodramma qualsiasi, con personaggi come Arturo Toscanini, tratteggiati alla stregua di Zampetti nei Ragazzi della terza C. Ennò. Enrico Caruso è stato il padre di tutti i tenori del Novecento. Potentissimo, istrionico, passionale. Ha avuto una vita pazzesca (era il primo figlio dopo 17 tutti morti), una carriera esaltante (dalla fonderia di Napoli fino al Metropolitan di New York), un merito incontestabile: è stato il primo. A incidere dischi. A vendere un milione di copie (di Vesti la giubba incisa nel 1904). A diventare il termine di paragone: dopo la Bohéme alla Scala nel 1900 si iniziò a cercare l'erede di Caruso. È stato anche il primo a portare all'estero la musica napoletana. E a iniziare quel lento distacco dal manierismo che tuttora appesantisce la lirica. Ecco, ci siamo capiti: Caruso è un tesoro italiano. E, a prescindere dagli ascolti (5.463.000 spettatori con 22.8% di share) è la sua voce, il tono tra tenorile e baritonale, la possenza seduttiva dell'acuto e il drammatico imbrunimento del colore a meritare il proscenio di una fiction. Invece no.
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