Così l'Occidente democratico si arrende all'islam assolutista

In «I diritti dell'uomo contro il popolo» lo storico spiega come il nostro laicismo rafforza il monolite musulmano

Così l'Occidente democratico si arrende all'islam assolutista

«Con le vostre leggi democratiche, noi vi colonizzeremo. Con le nostre leggi coraniche noi vi domineremo». Queste parole, pronunciate a Roma nel 2002 da Yusuf al-Qaradawi, uno dei principali dirigenti a livello europeo dei Fratelli Musulmani, non sono molto diverse da quelle proferite dal nazista Joseph Goebbels, ministro della Propaganda del Terzo Reich: «uno degli aspetti più ridicoli della democrazia rimarrà sempre il fatto che essa abbia offerto ai suoi nemici mortali i mezzi mediante i quali distruggerla».

Dunque, oggi come allora, chi coltiva lo sciagurato proposito di abbattere le libertà vigenti nelle società liberaldemocratiche dell'Occidente dimostra di avere la piena consapevolezza che la democrazia liberale può essere distrutta grazie alle opportunità politiche, sociali e culturali che essa stessa offre a chi vive al suo interno e usufruisce della sua liberalità e della sua tolleranza. Insomma, più che di un omicidio, si deve parlare di un suicidio assistito. È questo, nella sostanza, il senso complessivo che si ricava dalle amare riflessioni di Jean-Louis Harouel in I diritti dell'uomo contro il popolo (Liberilibri, pagg. 132, euro 15, introduzione di Vittorio Robiati Bendaud) che prende in esame l'odierno avanzare dell'islamismo in Francia.

I diritti dell'uomo contro il popolo sono i diritti scaturiti degli ideali del 1789, Liberté, Égalité, Fraternité, come espressione di un insieme di valori illuministici diretti a garantire a ognuno l'effettiva possibilità di perseguire i propri fini, garantendoli dall'invadenza del potere. Ora questi diritti si sono rovesciati in una finalità opposta, perché da presidio di libertà si sono trasformati in un'arma micidiale nelle mani di tutti coloro che non vogliono riconoscere e rispettare le tradizioni politiche, religiose e culturali (basti pensare al disprezzo per il cristianesimo) che costituiscono globalmente l'identità specifica della vita popolare. Da mezzo di liberazione contro il potere, questi diritti sono diventati mezzo di oppressione contro il popolo. È su questo sfondo che si pone il senso del discorso di Harouel, riassumibile in questo modo. L'islamizzazione della Francia, già in atto da due decenni e, a raggio più ampio, l'islamizzazione dell'Europa, risulta inarrestabile perché la civiltà liberale non è in grado di difendersi, essendo priva di una fede centrale e, contemporaneamente, pervasa da un «vuoto pneumatico», il laicismo, il quale è tutto costruito sul paradigma relativistico, sulla non fondazione assoluta dei valori e sul sistematico dubbio che non esistono verità esclusive. Il relativismo, dovuto al politeismo dei valori, dischiude dunque un orizzonte latentemente nichilista, quale esito inevitabile del lungo processo di secolarizzazione iniziato con l'età moderna. Esito che si presta a essere facilmente attaccato da chi si trova sul lato opposto della barricata, cioè da chi, pervaso da un senso esistenziale religiosamente forte, per non dire assoluto, combatte a morte proprio il processo di secolarizzazione. Contro il laicismo si erge infatti la cultura islamica, la quale si alimenta soltanto della propria identità e della fede nella propria verità, pretendendo di estendere a chiunque i suoi valori e il suo stile di vita.

L'Islam è un fenomeno antimoderno e irrimediabilmente antiliberale, dato che la sua intima natura è basata sull'annullamento di ogni separazione fra potere spirituale e potere temporale, fra religione e politica: la sua identità è monolitica perché diritto e religione sono indistinguibili. Conseguentemente, la religione non è una componente o una dimensione della vita, che regola alcune questioni e dalla quale altre sono escluse: essa coinvolge l'intera esistenza, in una giurisdizione non limitata ma totale.

Il confronto della civiltà liberale con la cultura islamica risulta molto difficile e tendenzialmente perdente poiché quest'ultima non possiede il requisito laico della propria autolimitazione. In altri termini, è priva della capacità di conferire un riconoscimento legittimante al diverso, cioè è priva della necessaria consapevolezza che tale legittimazione deve essere immediata e universalmente reciproca perché non si può dare vera convivenza se non come implicita conferma di un automatico scambio polivalente, ovvero come ovvio riconoscimento della fondazione non assoluta dei valori altrui, e dunque, per logico e speculare contraccolpo, di quelli propri.

Del tutto fuori luogo, perciò, sono tutte quelle analisi che tendono a individuare nella divaricazione tra l'opulenza dell'Occidente e la miseria del Terzo Mondo la vera causa del conflitto fra civiltà liberale e religione islamica, come ripete la viltà del «politicamente corretto», con la solita, scontata criminalizzazione dell'Occidente. I teorici del «politicamente corretto», allineati soprattutto a sinistra, non vogliono sentir parlare dello scontro di civiltà, già rilevato a suo tempo da Samuel Huntington.

L'Islam è avverso all'Occidente in termini religiosi e politici, perciò il senso vero dello scontro in atto è questo: una lotta mortale tra laicità e religione, scontro che illustra anche il senso profondo della storia contemporanea.

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