«Il quinto centenario della celebre affissione delle 95 tesi sulle indulgenze sulla porta della chiesa del castello di Wittenberg è quindi la giusta occasione per cercare di capire chi fu davvero Martin Lutero e per quale via giunse prima alla scoperta del Vangelo e poi a trovare nella sola Scrittura e nella giustificazione per sola fede le risposte alle domande che sgorgavano in lui dal sofferto e costante confronto con una Chiesa cattolica largamente dominata dal vizio e dalla corruzione».
Niente di meglio, allora, che la ponderosa opera di Adriano Prosperi, Lutero, gli anni della fede e della libertà, Mondadori, pagg. 588, euro 25). Però ci si sbaglierebbe a pensare all'inaugurazione dell'era della tolleranza. Scrisse infatti lo storico Paul Arnold: «La Germania luterana era teatro di un'intransigenza e di un'atmosfera di sospetto senza precedenti». Ma non sciupiamo ai lettori il piacere di leggere il saggio, davvero esaustivo, di Prosperi (che resterà a lungo insuperato).
Vogliamo invece occuparci dell'impatto che la rivoluzione luterana ebbe da noi. Ed ha, visto che già nel 2015 il sindaco Marino intitolò una piazza romana a Lutero. Quest'anno Firenze ha rinominato in suo onore il Giardino Torrigiani. Torino ha piantato un Albero di Lutero. Merano gli ha dedicato la passerella sul fiume Passirio. Lutero non fu il primo, al tempo, ad agitarsi, e lì per lì nemmeno la Chiesa si accorse che le sue «tesi» erano qualcosa di più, qualcosa di così dirompente da essere in grado di provocare quel che fin lì era sembrato impossibile: la spaccatura, totale e definitiva, della Cristianità. L'evento, inizialmente sottovalutato da Roma, si impose all'improvviso quando l'invenzione della stampa produsse la moda delle discussioni teologiche, anche nei retrobottega. Dato quel che succedeva in Germania, ad allarmarsi furono le autorità laiche, perché a ogni riformatore seguivano sommovimenti sociali e politici.
La rivolta luterana non tardò a sottodividersi in una miriade di movimenti, talvolta in contrasto tra loro, che impensierivano i governi. Calvino si impadronì di Ginevra e la trasformò, anche con le cattive, in una città di «santi». Gli anabattisti fecero di Münster un regno del terrore. In Inghilterra Enrico VIII aprì la caccia al «papista». Nella penisola italiana i vari Stati cercarono di correre ai ripari istituendo tribunali inquisitoriali, però non intendevano dipendere da Roma. Napoli e Milano, suddite dell'impero asburgico, non volevano l'introduzione dell'Inquisizione spagnola. Ma non volevano nemmeno quella romana.
A Venezia la tradizionale quieta ostilità nei confronti del papato ostava all'ingresso di inquisitori pontifici. Tuttavia proprio la Serenissima, a causa dei suoi estesi traffici, era la più esposta a tentazioni riformatrici. Analoghe remore e impedimenti avevano Genova, Firenze, Lucca, Parma, Ferrara. Tutte corti brillanti e raffinate, aperte alla cultura (e, dunque, alle nuove idee che si agitavano oltralpe). Intanto il partito «evangelico» faceva proseliti nello Stivale. Per inciso, sarà proprio la velenosa polemica antipapista luterana a far perdere all'Italia il suo fin lì indiscusso primato culturale nel mondo.
Comincia allora l'equazione cattolico = arretrato&oscurantista (pregiudizio che perdura ancora oggi in molte teste, e che in qualche caso ha prodotto vere e proprie persecuzioni, come in Messico e in Spagna nel XX secolo). E «cattolico», per forza di cose, era anche sinonimo di «italiano». Fino a quel momento l'Italia era stato il paese dei «colti». Non era partito dall'Italia il movimento umanista, cui tanto doveva la Riforma luterana? Ed Erasmo da Rotterdam soleva dire: «Italiani siam noi tutti che siam colti».
Tornando a noi, il contagio luterano non si fece attendere. A Napoli l'eterodosso Juan de Valdés faceva proseliti. Nella stessa Roma, gli «evangelici» si radunavano addirittura attorno a due cardinali, Pole e Morone. Un'inchiesta di san Carlo Borromeo, cardinale arcivescovo di Milano, scoprì che l'intera congregazione benedettina cassinense aveva assunto posizioni molto vicine alle idee della Riforma.
La quale contagiava soprattutto il clero: non era stato Lutero un monaco agostiniano? Calvino non aveva studiato teologia alla Sorbona quasi gomito a gomito con sant'Ignazio di Loyola? Quando nel 1542 il papa Paolo III decise di creare il Sant'Uffizio proprio per rispondere al dilagare dell'eresia (ripetiamo, soprattutto tra il clero), Bernardino Ochino, generale dei cappuccini, scappò dall'Italia. Come volevasi dimostrare. Ma qual era il fascino irresistibile, dunque, delle idee di Lutero? Non rimane che leggere il libro di Prosperi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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