Enrico Norelli è fra gli storici che hanno dedicato la propria carriera di studio alla figura del Cristo. Specialista in testi apocrifi, dal 2017 è professore emerito di Storia delle origini cristiane all'Università di Ginevra ed è coautore, insieme a Mauro Pesce e Claudio Gianotto, di L'enigma Gesù. Fonti e metodi della ricerca storica (Carocci).
L'elemento più «storico» degli ultimi giorni di Gesù?
«La crocifissione. Non può di certo essere inventata. È un dato attestato da diverse fonti, indipendenti una dall'altra. Chi ha trasmesso le memorie relative a Gesù sono stati i suoi discepoli, che lo consideravano come il Messia, inviato di Dio».
Per questo a volte si dubita della veridicità di molte narrazioni.
«Una cosa però, a quel tempo, era chiara: il Messia doveva essere un personaggio che si sarebbe messo alla testa di Israele e del suo popolo, oppresso dai suoi nemici, i Romani, e li avrebbe sconfitti in battaglia. Gesù, crocifisso e dunque sconfitto, difficilmente poteva essere accettato: inventarsi la crocifissione sarebbe stato solo un modo per rendersi la vita difficilissima».
Ci sono altri eventi resi possibili dalla loro evidenza?
«La cacciata dei mercanti dal Tempio. Tuttavia, siccome il Vangelo di Giovanni la cita all'inizio della predicazione di Gesù, mentre gli altri tre Vangeli la situano pochi giorni prima dell'arresto, gli storici sono a volte discordanti sulla sua veridicità».
L'uomo Gesù quali coordinate cronologiche avrebbe?
«La data di nascita si può situare tra il 7 e il 4 avanti Cristo, sempre che la si voglia far coincidere con il periodo del Regno di Erode. Per la morte si potrebbe calcolare come più probabile durante una Pasqua ebraica dell'anno 30. Gesù era forma abbreviata di Giosuè, plausibile per l'epoca».
Che cosa sappiamo di certo sulla sua famiglia?
«Nel Vangelo più antico, quello di Marco, vi è un passo in cui si dice che sua madre e i suoi fratelli sono andati a cercarlo per riportarlo a casa, perché pensavano che fosse diventato matto».
Chi sono questi fratelli?
«Non esisteva anagrafe in un villaggio come Nazareth, ma questo passo ci dà i nomi dei quattro fratelli di Gesù, Simone, Josef, Giacomo e Giuda, e ci parla di sorelle, quindi doveva averne almeno due. Mentre i racconti relativi alla nascita sono certamente leggendari, su almeno un fratello, Giacomo, ci sono certezze documentarie non cristiane: uno storico ebreo contemporaneo ai fatti, Flavio Giuseppe, racconta l'uccisione di Giacomo in un regolamento di conti all'interno della leadership ebraica di Gerusalemme».
Ma la sentenza di Pilato è registrata da qualche parte?
«Non abbiamo nulla del genere. Per Ponzio Pilato - procuratore romano su cui abbiamo fonti tra cui Tacito e storici ebrei - Gesù era un contadino galileo che gli è presentato come pretendente messianico: merita solo processo rapido e immediata condanna».
Altri potenti citati nei Vangeli fondati storicamente?
«Caifa, il sommo sacerdote. Rimase in carica oltre vent'anni, quindi doveva essere un politico abile. E poi l'Erode Tetrarca figlio di quell'Erode del tempo di Gesù bambino e Pietro, citato in altre fonti anche prima che i Vangeli fossero scritti».
Sui responsabili per la morte di Gesù che cosa è accertato?
«Un fatto praticamente certo è che alcuni rappresentanti dell'altissimo clero di Gerusalemme, coloro che gestivano il tempio, molto probabilmente hanno avuto una parte nella morte di Gesù: lo hanno denunciato ai Romani come sobillatore politico e forse lo hanno anche arrestato. Di certo che lo abbiano ucciso è impossibile: la condanna deve essere venuta da parte dei Romani. Molto diverso dunque è dire che gli Ebrei abbiano ucciso Gesù».
Chi lo ha seppellito dopo la sua morte?
«I Vangeli dicono Giuseppe di Arimatea, amico di Gesù, ma anche membro del Sinedrio; Giovanni attribuisce questo ruolo a Nicodemo. Ma qualche altro studioso sostiene che le tensioni nei testi lascino pensare che l'elemento che i discepoli lo abbiano sepolto sia stato aggiunto dopo».
E quindi chi sarebbe stato?
«C'è la possibilità che sia stato sepolto dai suoi avversari, gli ebrei: perché il cadavere del leader e la sua memoria non diventassero un riferimento per i suoi seguaci».
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