"Dada non vuol dir nulla". Ma lo dice bene da 100 anni

Un secolo fa nasceva a Zurigo il movimento artistico più influente della storia. Due mostre lo celebrano

"Dada non vuol dir nulla". Ma lo dice bene da 100 anni

nostro inviato a Zurigo

«Il Dada è ovunque» ammonisce una vecchia scritta a spray su un muro di Zurigo, un po' fuori dal centro. Ma se Dada è dappertutto, significa che non è in alcun luogo. Benvenuti a Zurigo, non-luogo geograficamente in Svizzera e internazionalmente ovunque, in cui nacque, morì e oggi rinasce - per festeggiare cento anni di storia artistica e influenza sociale - il movimento anti-arte del Dadaismo. DADA? DADA!

Soltanto una città ordinata come Zurigo poteva fare da culla a una corrente rivoluzionaria come il Dadaismo. Tabula rasa del passato e negazione del futuro, in realtà Dada vive in un eterno presente, senza compleanni e funerali. Ma poiché il Dadaismo è prima di tutto contraddizione di qualsiasi cosa, la Svizzera che per un secolo non lo ha mai dimenticato ma neppure celebrato ha deciso di riprendersi ciò cui diede vita. «Dada est tatou. Tout est Dada».

E tutto iniziò qui. Attenzione a salire le scale, strettissime: siamo al numero 1 della Spiegelgasse del quartiere Niederdorf (ieri malfamato, oggi sciccosissimo), dentro il leggendario Cabaret Voltaire, eccentrico caffè che divenne il ritrovo degli artisti in esilio residenti a Zurigo e dove la sera del 5 febbraio 1916 un secolo esatto fa, celebrato con una grande festa dadaista ieri notte Hugo Ball e la sua futura moglie Emmy Hennings assieme a Hans Arp, Sophie Taeuber (l'unica svizzera di un movimento globale), Tristan Tzara e Marcel Janco inaugurarono con chansons, musiche russe, letture di manifesti e poesie sonore, il Dadaismo. Innalzando una sonora risata - ennesima contraddizione di un movimento rivoluzionario che esplode in una nazione neutrale - contro la tragedia immane che in quel momento si abbatteva sull'Europa: protestavano contro la guerra, le gerarchie e l'ordine facendo dell'irrazionalità e della follia le loro armi più devastanti. In quella rumorosissima serata, e nelle altre che seguirono. Si narra che Lenin, anch'egli in esilio, abitando a cinquanta metri dal Cabaret Voltaire, si fosse lamentato per gli schiamazzi di quei pazzi che pensavano solo all'arte mentre lui stava preparando la Rivoluzione russa... Leggende, probabilmente. La Storia, invece, racconta che quel gruppo di apolidi, apolitici e anarchici iniziò con lo sconvolgere l'austera città adagiata borghesemente sulle sponde della Limmat, e poi finì per travolgere tutto ciò che c'era stato prima, dilagando dall'Europa a New York. Nessun movimento ha influenzato così tanto l'arte, dal Surrealismo fino ai Talking Heads, durando così poco. Nel 1919 era già finito tutto. Ma che cosa fosse, poi, Dada, ancora oggi non si è capito. «Solo i dadaisti sanno cosa sia Dada. E non lo dicono a nessuno», dicevano di sé. Fu così tante cose, che Dada means nothing. Ma dal nulla nasce il nuovo.

Oggi Zurigo che per i cinquant'anni di Dada nel 1966 non fece una piega perché il movimento, inventato da stranieri in esilio, non era considerato qualcosa di svizzero si è riappropriata del Dadaismo e della sua storia. Ed è il momento giusto. Capitale della finanza e paradiso dello shopping, Zurigo è diventata un centro di cultura di prima grandezza. Conta meno di 400mila abitanti, eppure ha 50 musei tra piccoli e grandi, 150 gallerie sparse tra il centro storico e il centro d'arte contemporanea nell'ex birrificio Löwenbräu, una dozzina di teatri, decine e decine di librerie, e poi antiquari, botteghe artigiane, rigattieri, caffè, music club... Città-santuario dell'art de vivre, Zurigo si è elegantemente ri-dadaizzata. Superando dadaisticamente la curiosa contraddizione di festeggiare il gruppo più anti-establishment della storia dell'arte, ora l'establishment (la Città di Zurigo, Zurigo Turismo, il Palazzo delle Corporazioni cittadine) glorifica sontuosamente i suoi figli adottivi Hugo Ball, Marcel Janco, Hans Arp, Tristan Tzara... E così il Dadaismo, che non è uno stile ma uno spirito, rivive attraverso festival, reading e concerti nei vecchi locali come l'Odeon, il Café de la Terrasse, ovviamente il Cabaret Voltaire, ossia la Kaaba dell'avanguardia (salvato nel 2002, quando la palazzina stava per essere trasformata in appartamenti di lusso, oggi è un caffè meraviglioso frequentato da artisti e studenti mentre una stampante in 3D appesa alla parete elabora una copia dell'orinatorio di Duchamp) e, soprattutto, due grandi mostre, inaugurate ieri.

La prima, molto d'élite, dal titolo «Dada Globe», al museo d'arte Kunsthaus, ricostruisce la storia dell'antologia dadaista che Tristan Tzara mise insieme nel 1920 con contributi di 50 artisti di tutto il mondo, vicini al movimento, ai quali scrisse un gruppo di lettere chiedendo una loro opera: ritratti, collage, foto o disegni. Il libro alla fine non fu pubblicato (sarebbe dovuto uscire a Parigi nel 1921) ma oggi, dopo sei anni di lavoro, i curatori della mostra hanno recuperato tutto il materiale (con alcuni pezzi mai esposti prima, come un acquerello di Julius Evola) e stampato il libro secondo le indicazioni grafiche di Tzara e Picabia: un'operazione culturale ed editoriale splendida. La seconda mostra, «Dada Universal», molto pop, è ospitata in un modernissimo padiglione appositamente costruito del Museo nazionale svizzero simbolo concreto dell'innesto ufficiale del Dadaismo nella propria storia nazionale e prova a creare, riuscendoci, un caotico cortocircuito fra tutte le anime e i terreni di esplorazione del Dadaismo. Nessun ordine cronologico, niente opere alle pareti, nessun percorso didattico. Ma, appoggiate sulla gigantesca scacchiera-pavimento, una serie di grandi teche in cui oggetti e opere-simbolo giocano, come in un immenso flipper, tra il localismo cittadino in cui sorse Dada e l'onda lunga internazionale che scatenò. Un perfetto caso di glocalismo artistico che rimbalza dallo scheletro di un Dodo, l'uccello estintosi perché nonsenso della Natura che anticipa il nonsenso del Dadaismo non sapeva volare («Prima di Dada c'era Dodo») alle maschere negre che ricordano i congegni antigas del primo conflitto mondiale, dal dionisismo nietzscheano al delirio erotico dadaista, dalle bombe a frammentazione alla frammentazione dell'alfabeto nei poemi sonori di Raoul Hausmann...

Più che una mostra un caleidoscopico collage che, secondo il più puro insegnamento Dada, facendo a pezzi il mondo tiene insieme tutto. Come scrisse Hugo Ball nel suo manifesto, «Dada è l'anima del mondo».

«Dada est mort, vive Dada!».

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