"Ecco come Hitler giustificò la guerra davanti alla Storia"

Torna «Il mio testamento politico» del Führer, raccolta di conversazioni del 1945 sul conflitto e sulla sconfitta

"Ecco come Hitler giustificò la guerra davanti alla Storia"

Nonostante siano passati più di settant'anni dalla sua morte, o forse proprio per questo, vista l'estinzione dei diritti d'autore, le librerie traboccano di libri su/di Hitler che, anche dopo il successo imprevedibile del film e del romanzo Lui è tornato, in Italia edito da Bompiani, sembra essere tornato davvero. Ultima tra le pubblicazioni del Führer ad approdare nel circuito librario italiano è la nuova edizione dei suoi ultimi pensieri, pubblicato da Rizzoli col titolo Il mio testamento politico (Bur Rizzoli, pagg. 162, euro 13), e arricchiti da una nuova prefazione del politologo Giorgio Galli, il maggior studioso italiano dei rapporti tra nazionalsocialismo e cultura esoterica.

Che cos'è il Testamento politico di Adolf Hitler, qual è il suo contenuto?

«Sono gli appunti affidati al suo segretario personale Martin Bormann nel Bunker della Cancelleria, mentre Berlino era assediata dai sovietici, dal febbraio 1945 alla fine. Sono stati giustamente definiti il suo testamento politico perché sono le ultime cose che ha voluto lasciar scritte. Hitler, qui, fa un bilancio della sua vita, e cerca soprattutto di giustificare perché ha fatto la guerra, di capire perché l'ha persa, argomento sul quale incentro il mio commento. Hitler sapeva benissimo che la Germania non avrebbe potuto sopportare una guerra di lunga durata. La sua idea era di avere un rapporto di forze favorevole almeno fino al 1942, e di vincere con una serie di guerre lampo. All'inizio ci è riuscito, ma in Russia gli è andata male, e poi ha perso ogni possibilità di vittoria. Hitler sostiene che in realtà non voleva la guerra, che gli era stata imposta dagli altri. In realtà, la serie di rivendicazioni avanzate già dal 1937 indicavano un cammino chiaro di annessione dell'Austria e della Cecoslovacchia, dell'utilizzo della Polonia come base per invadere la Russia. Ciò non toglie che egli continuasse a paragonarsi a Napoleone, che, come lui, era stato costretto a fare la guerra anche se voleva la pace».

Ci sono dubbi sull'autenticità del documento, qualcuno ha mai messo in dubbio l'attendibilità di queste conversazioni, di cui il «testamento politico» rappresenta l'ultima parte?

«No, nessuno ha mai messo in dubbio l'autenticità di queste dichiarazioni, che erano - e sono - una delle fonti più solide e autorevoli del pensiero del Führer, affidato al fedele e fidato Martin Bormann».

I suoi studi vertono soprattutto sul frequente rapporto tra politica ed esoterismo, rapporto che è particolarmente evidente nel caso della Germania nazionalsocialista, vero?

«Certamente: come racconto anche qui, io credo nell'esistenza di un partito esoterico della pace, ovvero quella parte dei vertici nazionalsocialisti, ispirati da Jünger, il quale nazionalsocialista non era, che pensava che si corresse un rischio eccessivo con la guerra su due fronti. Il loro principale ispiratore era Karl Haushofer, secondo cui bisognava fare un patto permanente con la Russia. Quello che chiamo partito esoterico della pace ha cercato di evitare la guerra, e il libro di Jünger Sulle scogliere di marmo è una metafora di questo tentativo di evitare la guerra, come lo è la missione di Hess in Inghilterra. Falliti questi tentativi, questo partito della pace sarà il protagonista dell'attentato del 20 luglio e della non riuscita Operazione Valchiria. Questo Testamento politico conferma quanto ci sia ancora da scavare per conoscere davvero le cause degli avvenimenti che sconvolsero il Ventesimo secolo e che, secondo me, hanno avuto dei protagonisti che non sempre si sono mostrati chiaramente. E mi riferisco, appunto, ai membri delle frange esoteriche nazionalsocialiste che avevano legami molto stretti con le élite di altri Paesi, soprattutto del Regno Unito».

Qual è la storia editoriale di questo libro, e perché ristamparlo proprio oggi?

«Il libro, come accennavo all'inizio, fa parte di quelle conversazioni a tavola con Bormann, che Hitler volle registrare accuratamente, perché rimanesse traccia ai posteri delle sue buone intenzioni. Sono le ultime cose che ha detto, e per quello che ha detto sulla guerra e sulle ragioni che l'hanno fatta scoppiare e sui motivi della sconfitta, possono essere considerate l'analisi, fatta da Hitler stesso, della sua avventura, alla fine della sua vita. Senza dubbio, quindi, si tratta di un documento storico di grande interesse e, dopo cinquant'anni dalla precedente edizione, è opportuno che venga nuovamente messo a disposizione dei lettori e degli studiosi».

Hitler sta forse, quindi, tornando al centro dell'interesse?

«Il grandissimo successo del romanzo Lui è tornato e del film che ne è stato tratto, conferma che l'argomento della Germania nazionalsocialista è di grande interesse, sia dal punto di vista storico che da quello commerciale. Forse possiamo cominciare a considerare anche Hitler come un personaggio storico. Nonostante le difficoltà adesso attraversate dalla democrazia, e l'affermazione di quello che viene generalmente chiamato populismo, è davvero molto improbabile che si possa immaginare un ritorno di un fenomeno come quello del nazionalsocialismo che ora, quindi, possiamo analizzare dal punto di vista storico.

Mettendo insieme le tre introduzioni che arricchiscono questo libro, quella di François Genoud, quella di Trevor Roper e la mia, che è quella più aggiornata e anche la più lontana da quei fatti, abbiamo una visione d'insieme relativamente nuova sulle origini della Seconda guerra mondiale e sugli errori veri che ha fatto Hitler, e che in questo Testamento lui attribuisce alla fretta con cui ha dovuto scegliere di entrare in guerra».

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