È appena uscito in Francia Céline, la race, le Juif (Fayard) di Pierre-André Taguieff e Annick Duraffour. Il saggio, di oltre mille pagine, uscito dopo 15 anni di ricerche, prende in esame in modo sistematico il rapporto di Louis-Ferdinand Céline (1894-1961) con l'antisemitismo. Gli autori, esperti della materia, si concentrano in particolare sulla nascita di tre pamphlet contro gli ebrei firmati dal romanziere del Viaggio al termine della notte, i famigerati Bagatelle per un massacro, La scuola dei cadaveri e Les Beaux Draps. Poi passano in esame i rapporti di Céline con gli ambienti della collaborazione col nazismo e lanciano l'accusa: lo scrittore era un agente della propaganda tedesca in Francia. Infine sottolineano come i biografi siano stati troppo reticenti sul razzismo di Céline. Il suo antisemitismo non avrebbe affatto avuto un carattere puramente letterario e alla fine inoffensivo.
Riassumiamo gli argomenti del libro. Primo punto, i pamphlet. Lo stile di questi testi, la «piccola musica», ha un «fondo emotivo ariano» e «gli ebrei sono i nemici nati dell'emotività ariana» (così disse Céline). Le fonti appartengono alla propaganda nazista o alla saggistica razzista (e anche in questo caso filo-nazista). Ma Céline fa anche largo uso di falsi antisemiti come I protocolli dei savi di Sion.
Secondo punto, i contatti. Secondo Taguieff e Duraffour, lo scrittore era ben inserito nella rete della propaganda nazista a cominciare dalla agenzia specializzata, nota come Welt-Dienst o Servizio Mondiale, che forniva materiale razzista a militanti di ogni nazione. Tra i francesi che se ne servirono incontriamo vecchie conoscenze di Céline, ad esempio Henri-Robert Petit. Poi ci sono i rapporti con leader filo-nazisti come il canadese Adrien Arcand, che accoglierà Céline con tutti gli onori nel 1938 a Montreal. Infine ci sono i contatti con figure chiave da Jacques Doriot, capo dei fascisti francesi, all'ambasciatore Otto Abetz e molti altri. Céline si sarebbe proposto come autentico campione della collaborazione attraverso le lettere aperte inviate ai giornali negli anni dell'occupazione tedesca della Francia. Ernst Jünger, nel suo diario parigino, Irradiazioni (Guanda), aveva annotato alla data 7 dicembre 1941: «Céline è sorpreso, urtato di sentire che noi soldati non fuciliamo, non impicchiamo e non sterminiamo gli ebrei; sorpreso che qualcuno, avendo una baionetta a disposizione, non ne faccia uso illimitato. Se i bolscevichi fossero a Parigi vi darebbero un esempio, vi mostrerebbero come si pettina la popolazione, quartiere per quartiere, casa per casa. Se avessi io la baionetta saprei io cosa farne. Per me era istruttivo sentirlo parlare per due ore di seguito su questo tono, perché in lui potei comprendere l'immensa forza del nichilismo». Nel luglio-agosto 1942, Céline avrebbe appreso della soluzione finale, approvandola.
Terzo punto, la reticenza degli storici. E qui arriviamo alla parte che ha già suscitato la polemica sulle pagine de L'Express del 1° febbraio. Gli autori dicono che i biografi di Céline devono finalmente «sottomettersi ai fatti». Céline non si sarebbe limitato alle parole ma sarebbe passato anche all'azione, nei panni del delatore, per ottenere piccoli vantaggi professionali. Tra le altre cose, avrebbe denunciato Joseph Hogarth, «medico straniero ebreo non naturalizzato», per ottenere il suo posto a Bezons.
Conclusione: sulla base di questi e altri indizi, Céline si può considerare un agente della propaganda nazista, anche se, devono ammettere gli autori del saggio, manca un documento che attesti un compenso diretto ottenuto dalle autorità tedesche. I nazisti però lo avrebbero favorito e aiutato in ogni modo, anche dopo la fuga verso nord quando la Francia fu invasa dagli Alleati. Rientrato in patria dopo l'esilio danese, nel 1951, Céline avrebbe finito con l'ispirare la nascita del negazionismo francese, pur essendosi ritirato in provincia, a Meudon.
Naturalmente, la mancanza di prove incontestabili è il tallone d'Achille (molto evidente) sul quale tireranno le frecce i biografi di Céline, a partire da Émile Brami, autore di Céline à rebours (Archipoche, 2011). L'esposizione dei fatti, dice Brami, è unilaterale e si spinge addirittura a ridimensionare i meriti letterari di Céline. Il giusto approccio, però, non può prescindere dalla presenza di documenti probanti, che invece latitano.
Gli studiosi, secondo Brami, hanno rivisto e corretto i giudizi su Céline già negli anni Ottanta. Ne è uscita l'immagine di un grande artista e di un piccolo uomo. Un'immagine alla quale il libro di Taguieff e Duraffour aggiunge niente.
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