Durs Grünbein, nato a Dresda nel 1962, è uno dei massimi poeti di lingua tedesca: ha ricevuto il Büchner-Preis a soli 33 anni e nel 2008 ha ricevuto a Berlino l'ordine Pour le mérite per la Scienza e le Arti. Ieri era a Milano, nell'aula magna dell'Università statale, per incontrare gli studenti nel trentennale della caduta del Muro di Berlino (nell'incontro, condotto da Rosalba Maletta, ha anche ricevuto una pergamena al merito da parte dell'amministrazione cittadina). Grünbein, nato e cresciuto nella Deutsche Demokratische Republik, ha vissuto la privazione di libertà di cui il Muro era il simbolo, e ha partecipato alla lotta per abbatterlo. È quindi un testimone d'eccezione non soltanto di quegli eventi ma di come si è evoluta la Germania e l'Europa dopo il 1989. Come ha spiegato ai ragazzi, nonostante quello resti un momento trionfale, non tutto è andato come ci si sarebbe potuto aspettare: «A quel tempo, noi insorti abbiamo salutato la libertà da lontano. Noi, gli illusi del socialismo corrotto, vedevamo in essa qualcosa per cui valeva la pena morire. Oggi tutto ciò è come spazzato via; le celebrazioni per la Caduta del Muro, con la regia dello Stato sono soltanto un risveglio coi postumi della sbornia... Il credo politico nel progresso è andato in frantumi; tutte le visioni del mondo ora corrono nella direzione opposta: retrotopia, reazione, regressione su tutta la linea». Il Giornale si è fatto raccontare cosa resta e cosa no di quell'evento che ha cambiato la Storia.
Grünbein come era vivere nella Germania est, un Paese che spendeva le sue energie per creare un confine non per difendere i cittadini ma per imprigionarli?
«Era paradossale. Ci sentivamo come all'interno di uno zoo. Quando arrivavano dei visitatori dall'estero noi eravamo come le bestie nelle gabbie. Comprendevamo di essere rinchiusi proprio facendo il paragone con la libertà di viaggiare degli occidentali. La famiglia di un mio compagno delle elementari riuscì a fuggire. Lui poi mi mandava cartoline da tutte le capitali d'Europa. E questo aumentava ancora la mia sensazione di essere rinchiuso. Negli anni 80 ho richiesto un permesso per andare all'estero. Non era nemmeno una questione politica ma di claustrofobia. Quando è caduto il Muro è stata una sensazione inspiegabile, irripetibile. L'unica parola adeguata è euforia, un'euforia incontenibile».
Lei si rifiutò di prestare servizio come guardia di confine... E che questo le costò l'iscrizione all'università.
«Sì, e per quanto fossi riuscito a disertare restavo comunque un prigioniero. Continuavo a pensare Tu ci morirai prigioniero in questo Paese...».
Dov'era lei quando il muro è caduto?
«Avevo partecipato alle manifestazioni in Alexanderplatz ed ero stato anche arrestato. Le manifestazioni si erano allargate al resto del Paese, come a Lipsia, e avevamo capito che qualcosa stava cambiando in modo inarrestabile e definitivo. Però non ci aspettavamo capitasse così in fretta. Poi vidi la conferenza in televisione in cui quel corrispondente italiano chiese a Günter Schabowski da quando sarebbero stati aperti i confini. Quando rispose Immediatamente, mi precipitai in strada. Fu uno choc come se l'Impero romano invece di crollare nel corso di secoli fosse crollato nel corso di un mese».
Molti hanno da ridire su come si è svolta l'unificazione tedesca sia a Ovest che a Est. C'è un termine preciso per questo: «Ostalgie»...
«La riunificazione è stata soprattutto un fenomeno politico, il progetto della Cdu di Helmut Kohl era anche un progetto elettorale che per i partiti della Germania Ovest valeva milioni di voti e come tale è stato gestito. Per moltissime persone si è rivelato una chance, per alcuni però è stata una catastrofe. Moltissimi tedeschi dell'Est sono stati catapultati nel mercato di cui non sapevano niente. Uno Stato autoritario è anche uno Stato-mamma. Questo ha creato una delusione della libertà che è stata utilizzata soprattutto dai partiti di estrema destra. Scherzando si può dire che molti non perdonano ad Angela Merkel di essere l'unica tedesca dell'Est che ce l'ha fatta davvero. Ma onestamente per la Germania e per l'Europa l'unificazione è stata la soluzione migliore».
Lei parla spesso di retrotopia. Perché?
«La definizione è di Bauman. Secondo me la mancanza di progetti e di sogni seguita alla caduta del Muro ha innescato un meccanismo che genera utopie proiettate all'indietro. Si fa riferimento a delle Heimat, a delle patrie, che esistono solo nella nostra fantasia, non nella realtà, è una fuga verso un passato che non c'è...».
Nonostante la dittatura e l'essere cresciuto nella Dresda
ancora devastata, Lei racconta l'infanzia come un periodo dorato.«L'infanzia è l'età del potenziale infinito. Della pura gioia bisogna portarla sempre con noi. Ma senza idealizzarla, i bambini sono anche piccoli diavoli...».
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