Faber and Faber, l'editore che stampa Nobel da 90 anni

Il primo fu T.S. Eliot: amico del fondatore Geoffrey gli portò tutti i grandi, da Auden a Pound a Joyce

Faber and Faber, l'editore che stampa Nobel da 90 anni
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Non è facile fare l'editore, ora come allora. Geoffrey Faber era figlio di buona famiglia nipote di Frederick William Faber, reverendo convertito al cattolicesimo, un talento nel comporre inni sacri aveva il vizio della poesia (un paio di raccolte, edite nel 1915 e nel 1918) e voleva aprire una casa editrice.

Sempre ieri come ora in cerca di denaro e di mecenati per realizzare il suo sogno, Faber si mette insieme a Sir Maurice Linford Gwyer, accademico di pregio, che farà carriera, un decennio dopo, come giudice supremo in India e vice rettore dell'Università di Delhi.

I due, nel 1925, fondano la Faber and Gwyer, ma i rispettivi interessi impiegano poco a divergere: il giudice vuole una casa editrice ingessata, che pubblichi testi scientifici; il baldo Geoffrey, l'ho detto, ha l'ossessione lirica. Quell'anno, poi, grazie alle buone note di Charles Whibley, letterato influente, amico di Paul Valéry e testimone di nozze di Marcel Schwob, Faber conosce Thomas S. Eliot. Eliot ha da poco pubblicato La terra desolata sulla rivista che dirige, The Criterion e che si farà da finanziare da Faber , lavora stancamente ai Lloyds, cerca, come tutti i poeti, grana e riconoscenza. Faber gli offre entrambe, lo ingaggia e Thomas S. Eliot gli porta i più grandi poeti del secolo, diventando l'artefice di una delle griffe editoriali più ambite del mondo occidentale. «Essere convocati negli uffici della Faber in Russell Square era come ricevere una lettera da Dio Padre», ha dichiarato Seamus Heaney, che con Faber, appunto, pubblica i libri più grandi, dal primo, Death of a Naturalist (1966) in poi.

Questa, però, è la leggenda, a noi tocca narrare la storia. Dopo quattro anni di lavoro insieme, Gwyer lascia, Geoffrey Faber può chiamare il suo marchio Faber and Faber e Thomas S. Eliot ha maggior agio per operare come più gli piace. Il problema, da subito, è sempre quello. I soldi. «Sento che la mia vita non vale più la pena di essere vissuta, l'impresa presenta ostacoli insormontabili», scrive sul suo diario l'implacabile Geoffrey. L'autorevolezza, garantita da Eliot, che porta in Faber autori come Wystan H. Auden e Philip Larkin, Stephen Spender e Ted Hughes, Ezra Pound e James Joyce e Marianne Moore, non basta. Per fortuna, ancora una volta, c'è il poeta a salvare l'editore.

Nel 1939, dieci anni dopo la nascita della Faber and Faber, Eliot pubblica il fatale Old Possum's Book of Practical Cats. Il libro ha un successo speciale: tramutato in disco lettura e orchestra nel 1954 da Alan Rawsthorne, diventa, nel 1981, per merito di Andrew Lloyd Webber, Cats, il musical più replicato a West End e a Broadway. Esito: «Le diverse royalties legate a Cats hanno permesso la sopravvivenza a una impresa editoriale costantemente precaria».

Questo è il giudizio di Toby Faber nipote di Geoffrey che per i 90 anni dalla fondazione della casa editrice ha scritto, razziando tra lettere, diari e archivi, Faber & Faber: The Untold Story of a Great Publishing House (Faber 2019, pagg. 408, £20).

La casa editrice dei Nobel per la letteratura per Faber hanno pubblicato Samuel Beckett, Derek Walcott, Heaney, Harold Pinter, Kazuo Ishiguro è ancora, inscindibilmente, legata alla poesia. Tra le ultime pubblicazioni, Paul Muldoon (Meeting the British), Andrew Motion (Essex Clay), una selezione di poesie di Sylvia Plath a cura del Poet Laureate Carol Ann Duffy, l'ennesima riedizione dei Four Quartets del sempiterno Eliot.

Certo, in questa storia di aurei successi e di economie all'osso non mancano i tonfi. Eliot rifiutò La fattoria degli animali di George Orwell, che sarà pubblicato nel 1945 da Secker and Warburg.

Tuttavia, nel 1954 accolse Il Signore delle mosche, il capolavoro di William Golding, che consentì a quest'ultimo, qualche decennio dopo, di andare al Nobel.

Geoffrey Faber muore nel 1961, Eliot lo segue poco dopo, nel 1965: si può dire che la fortuna dell'editore fu concretamente consustanziale a quella del suo poeta.

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