C'è un perché i tedeschi, almeno pubblicamente, evitano di condannare in modo aperto i musulmani tagliagole, che la stanno facendo da padroni in casa loro. È una motivazione che proviene da settant'anni di lontananza storica, ma che non smette di presentarsi alla ribalta. Nel genocidio degli ebrei perpetrato dai nazisti, infatti, consiste il germe di tanta esibita tolleranza e quel senso di colpa, sempre presente nel vento della storia germanica recente, riaffiora adesso sulla bocca d'un testimone oculare, uno degli ultimi che ancora parla. Si tratta di Brunhilde Pomsel, che fu la segretaria del ministro della Cultura e della Propaganda del Terzo Reich, Joseph Goebbels. Non proprio una nonnina, nonostante i suoi 105 anni, come si evince dal film documentario Ein deutsches Leben, "Una vita tedesca" di Christian Krönes, Olaf S. Müller, Roland Schrotthofer e Florian Weigensamer in anteprima al Filmfest di Monaco appena concluso. E dove la risoluta ultracentenaria, in 113 minuti racconta la mentalità di un "tedesco normale" all'epoca delle camicie brune. Quando lei, da giovane segretaria, stenografa e dattilografa, si trovò a lavorare fianco a fianco al "montone di Babelsberg", come attrici e attricette soprannominavano Goebbels, che dagli studi cinematografici di Babelsberg faceva e disfaceva carriere soprattutto femminili.
Anche se Brunhilde, oggi una tela rugosa da cui spiccano occhi scuri tutt'altro che domi, si è sempre presentata come un personaggio di secondo piano, non interessato alla politica, resta innegabile che la sua straordinaria biografia e il suo singolare viaggio indietro nel tempo ruotino intorno alla domanda delle domande: si poteva fare qualcosa, per contrastare la barbarie nazista? Oppure, da brava tedesca, la Pomsel credeva soltanto nella cieca obbedienza? "Niente è bianco o nero. C'è sempre un po' di grigio in ogni cosa. Anche il bello ha qualche macchia", soffia lei nella scena iniziale, tormentandosi le tempie con gli indici a forcella. Eppure, in alcune interviste precedenti al docufilm, Frau Brunhilde si era descritta come "una codarda", "una sciocca" e "una superficiale". La cognizione del dolore le fu estranea, dunque, mentre batteva a macchina le lettere del dottor Goebbels.
Nata a Berlino nel 1911, da ragazza aveva lavorato come stenografa per un avvocato ebreo e come dattilografa per un nazionalista di destra: a un certo punto, pare lavorasse per entrambi. Nel 1933 un amico del Partito nazionalsocialista tedesco le procura un impiego alla radio e nel 1942 venne trasferita al ministero della Cultura e Propaganda del Terzo Reich, alle dipendenze di Goebbels, dove rimase fino alla fine della guerra. Dopo la caduta di Berlino, nel 1945, fu imprigionata dai russi, fino al 1950. Pur avendo rilasciato qualche intervista, dopo il suo ritorno in Germania, la Pomsel non si era dimostrata entusiasta all'idea di raccontare la sua vita davanti alla cinepresa. "Avevo paura. I registi mi dissero che stavano preparando qualcosa che doveva restare per sempre, perché certe cose bisogna registrarle, mantenerne il ricordo. Molta gente aveva parlato di me dal proprio punto di vista. Adesso toccava a me e accettai", spiega. Aggiungendo che nel 1942 si era iscritta al partito nazista soltanto per ottenere il prestigioso posto al ministero. "Perché non avrei dovuto farlo? Tutti lo facevano".
Ma com'era Goebbels, visto da vicino? "Aveva un bell'aspetto, sembrava un attore consumato. Nessuno meglio di lui sapeva trasformarsi da persona seria e civile a teppista scatenato", dice Brunhilde nel film. Essendo soltanto una delle quattro segretarie a disposizione di Herr Minister, la signora Pomsel sbrigava le faccende burocratiche, batteva a macchina e archiviava i dossier. E ricorda di aver visto Goebbels giocherellare "come un bambino felice" con la sua macchina da scrivere. Nelle ultime ore del Reich, Goebbels e sua moglie Magda si uccisero insieme ai loro sei figli. Strano, ma vero stando ai racconti di lei-, pur avendo battuto a macchina, nel 1943, il famoso discorso di Goebbels sulla "guerra totale", la Pomsel non avrebbe avuto la minima idea di che cosa si trattasse. "Semplicemente, non stavo a sentire. Perché non m'interessava. È stato stupido, da parte mia. Lo so", ammette. "Sapevamo che esistesse Buchenwald. Sapevamo che c'era un campo. E che gli ebrei venivano portati lì.
Credo alla gente che dice che potevamo fare qualcosa per gli ebrei. Però nessuno ha fatto niente", considera. Dopo aver assistito alla prima del film, Brunhilde ha trovato il tutto affascinante. "Non perché si parlasse della mia sorte, ma di quello che c'era dietro".
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