«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi», recita il celebre aforisma gattopardesco assurto a simbolo dell'immobilismo della politica italiana. A giudicare da quanto sta sotterraneamente accadendo nell'Italia dei musei, la frase di Tomasi di Lampedusa appare addirittura anacronistica rispetto a una realtà che vorrebbe riportare indietro le lancette della Storia. Il manovratore ha i connotati dell'attuale ministro del Mibac Alberto Bonisoli, nominato in quota 5 Stelle, colui che a pochi mesi dall'insediamento destò ironie per lo «sdoganamento culturale» del Grande Fratello e dei cinepanettoni. Ma allora si parlò di folclore. Stavolta, invece, nessuno ha più voglia di scherzare di fronte al documento ministeriale con cui Bonisoli intende far ripiombare l'organizzazione museale nel più oscuro centralismo, smantellando di fatto quanto di buono aveva prodotto la riforma Franceschini: ovvero l'autonomia gestionale e amministrativa dei principali musei del Belpaese, i cui brillanti risultati sono già sotto gli occhi di tutti. Ma la burocrazia delle sovrintendenze, quella delle carriere politiche all'ombra del ministero, ha sempre maldigerito i cosiddetti «superdirettori», molti dei quali rei anche di essere stranieri, e per questo oggetto di ricorsi al Tar puntualmente vanificati dal Consiglio di Stato.
Oggi però quella sete di vendetta si materializza attraverso una «controriforma» che potrebbe essere approvata in Consiglio dei ministri entro questo mese e che ha già sortito un primo incomprensibile danno: la soppressione dell'autonomia di alcuni musei e parchi archeologici, come quello della Via Appia, il Museo Etrusco di Villa Giulia, il Museo delle Civiltà, e ancora la Galleria dell'Accademia di Firenze e il Museo e Parco del Castello di Miramare a Trieste. La prima reazione degli attuali direttori alla decisione è stata di sconcerto e incredulità; parliamo infatti di istituzioni che, grazie ai nuovi cda e all'intraprendenza di direttori (finalmente) nominati con bandi pubblici internazionali, hanno conosciuto in questi ultimi quattro anni una vitalità assolutamente inedita. Che, in termini pratici, sta a dire aumento dei visitatori italiani e stranieri, nuove attività scientifiche e didattiche, maggiori introiti per le casse pubbliche. La Galleria dell'Accademia di Firenze (nota per ospitare il David di Michelangelo) sotto la direzione di Cecilie Hollberg ha ad esempio registrato un incremento del 22 per cento raggiungendo 1,7 milioni di visitatori annui. Non meno brillanti i risultati di Valentino Nizzo che sta trasformando il museo di Villa Giulia nel miglior centro espositivo nazionale per la storia della civiltà etrusca. I motivi del declassamento delle quattro istituzioni dai siti di «rilevante interesse nazionale dotati di autonomia» non è spiegabile se non all'interno di una strategia centralista che, come si evince dai 41 articoli del documento ministeriale, vuole riportare a Roma poteri e competenze svuotando di fatto anche le autonomie degli altri musei. Come la Galleria degli Uffizi, che pure sotto la spinta e le strategie del direttore austriaco Eike Schmidt, ha registrato un incremento del 25 per cento dei visitatori, ha abbattuto le lunghe attese per le code al museo e oggi guida la classifica nazionale con 4 milioni di ingressi annui. Non sembra casuale che nella controriforma di Bonisoli appaia anche la nomina dello storico dell'arte Tomaso Montanari, figura oggi molto vicino al ministro (ma neppure un mese fa tuonava contro questo governo), all'interno del comitato scientifico degli Uffizi. Proprio Montanari, che non nasconderebbe aspirazioni alla direzione del museo fiorentino, ha recentemente affermato «che gli Uffizi dovrebbero tornare a essere soprattutto un luogo dove si promuove la ricerca scientifica e uscire da una logica economicista». Parole francamente sconcertanti, pronunciate in un Paese dove la cultura fino a oggi «non dà da mangiare» e che, malgrado il suo immenso (e malsfruttato) patrimonio, ha in Europa un indotto turistico inferiore a quello della Francia e perfino della Spagna. La restaurazione centralista del pentastellato Bonisoli - sorprende decisamente l'indifferenza di Salvini e della Lega tutta - è una vera e propria bomba a orologeria che prevede l'ipertrofia dei poteri della Direzione generale del Mibac di Gino Famiglietti che, attraverso una nuova specifica direzione «Contratti e concessioni», controllerà e gestirà da Roma gli appalti significativi di tutti i musei esautorando di fatto le autonomie dei cda. Oltre ai bilanci, come se non bastasse, la controriforma di Bonisoli avocherà a Roma fondamentali scelte strategiche dei musei come i prestiti delle opere, che rappresentano la chiave di volta per ottenere scambi con i musei internazionali.
La svolta passatista fa trasecolare James Bradburne, direttore della Pinacoteca di Brera che, con il suo mandato a Milano, ha aumentato l'indotto del museo di oltre centomila visitatori (390mila nel 2018 rispetto ai 269mila del 2014), grazie a un totale riallestimento di tutte le sale, reso possibile dal fund raising e una visione lungimirante che ha creato dal nulla servizi aggiuntivi come l'appena nato ristorante di alta cucina guidato dallo chef Filippo La Mantia. «La trasformazione di Brera, e trasformazioni simili negli altri musei autonomi, non sono il risultato di un super direttore - siamo tutti semplicemente professionisti - e nemmeno di una nuova squadra, visto che lo staff è in gran parte lo stesso di prima, ma è la diretta conseguenza della riforma del 2014» ha detto Bradburne al Giornale. «Anche se è parziale, quest'autonomia ci ha dato gli strumenti per restituire il museo alla città e ai suoi visitatori. La controriforma minaccia di portarli via. Senza strumenti, anche il miglior architetto non può costruire».
La rinascita di Brera (il cui unico neo è la mancata riapertura di Palazzo Citterio a causa dell'inadeguata ristrutturazione gestita in toto dalla Sovrintendenza) non è dunque un miracolo. Non lo è, considerando il territorio, rispetto a quanto avvenuto alla Reggia di Caserta prima dell'anticipato e malaugurato pensionamento del direttore bolognese Mauro Felicori, che in tre anni ha avviato importanti restauri, raddoppiato i visitatori e coinvolto sponsor prestigiosi. Non lo è neppure, per le stesse ragioni, rispetto a quanto è riuscito a fare il 35enne tedesco Gabriel Zuchtriegel che, alla direzione del Parco Archeologico di Paestum, ha portato da 300mila a 441mila i visitatori e ha messo a punto, grazie agli sponsor, progetti importanti come lo scavo nell'abitato presso il Tempio di Nettuno e l'avvio del riallestimento del museo.
«Chi dice che i musei autonomi non fanno tutela, non conosce la realtà - dichiarava appena un anno fa - Mentre prima i fondi non arrivavano, adesso siamo noi a decidere come e dove investire». Adesso purtroppo, per logiche di potere e di poltrone degne della peggior Prima Repubblica, potrebbe cambiare tutto. Con gravissimo danno per l'intero Paese.
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