I tedeschi in fuga da violenza e stupri dell'Armata rossa

Fu la più grande migrazione interna d'Europa. Ma rimase un tabù per vincitori e sconfitti

I tedeschi in fuga da violenza e stupri dell'Armata rossa

Quest'anno il tema di éStoria, il festival della storia di Gorizia, è «Migrazioni». Tra le grandi migrazioni di cui si parla poco ce n'è una che ha completamente cambiato la demografia della Germania. Quella che lo scrittore tedesco Juergen Thorwald (1915-2006) ha chiamato «la grande fuga». Ovvero lo spostamento di più di 14 milioni di tedeschi avvenuto tra il 1944 e il 1948 per sfuggire all'avanzata dell'Armata Rossa. È il tema di cui si è parlato nell'incontro di ieri intitolato: «Migrazioni nella Germania post bellica» con la professoressa Giulia Caccamo dell'Università di Trieste.

Questo esodo, che avvenne in un clima di ferocia inaudita, è una delle grandi storie rimosse della Seconda guerra mondiale. E la sua colpa può essere imputata sia ai nazisti sia alle truppe sovietiche. E proprio questa doppia responsabilità ha fatto in modo che pochissimi avessero voglia di parlarne dopo il conflitto. Ma partiamo dai fatti. Il 9 gennaio del 1945 il generale Heinz Guderian dorme male: sa che le truppe tedesche che difendono il fronte orientale che corre da Tilsit a Varsavia sta per crollare. Non è mai riuscito a far ragionare Hitler sulla necessità di arretrare le truppe. Men che meno è riuscito a farlo riflettere sulla condizione di tutti quei tedeschi che sono stati insediati come coloni nei territori polacchi occupati, o di chi risiedeva nella da sempre tedesca Prussia orientale dove la resistenza è ormai impossibile. Nel seguente incontro con Hitler cerca un'ultima volta di convincerlo. È inutile, la tesi di Hitler della resistenza sul posto sino all'ultimo uomo, anche da parte dei civili, è inscalfibile. La notte tra l'11 e il 12 gennaio inizia un attacco in massa dell'Armata rossa che prima travolge quel che resta della Wehrmacht e poi piomba sui civili tedeschi insediati nel Reichsgau di Danzica. Nessuno li aveva avvisati. Quando i russi dilagano, vengono investiti in pieno. E la rabbia dei soldati russi, che hanno provato l'occupazione nazista in patria, si salda con quella dei polacchi che si erano visti sottrarre terre e proprietà. Si scatenò così un massacro in cui si faceva poca distinzione tra colpevoli e innocenti. Iniziò una gigantesca fuga verso la Germania in cui i civili furono per lo più abbandonati a se stessi. Ma questo fu solo l'inizio dell'Apocalisse. Man mano che le armate russe avanzavano verso Berlino, milioni di tedeschi si misero in fuga verso i territori che sarebbero stati occupati dai meno aggressivi americani e inglesi. Ma molti non riuscirono a scappare, almeno non subito. Secondo lo storico, Antony Beevor, che ha potuto consultare gli archivi aperti dopo la caduta dell'Unione Sovietica, nelle regioni orientali della Germania furono violentate almeno 1,4 milioni di donne. I soldati russi non risparmiarono bambine e anziane e nemmeno le prigioniere di guerra russe trovate nei lager, colpevoli, ai loro occhi, di essersi fatte catturare vive dai nazisti. Secondo Beevor all'origine del «più sistematico stupro di massa della storia», c'era un insieme esplosivo di fattori: la stanchezza per la lunga guerra, il desiderio di vendicarsi delle atrocità tedesche, l'abuso di alcolici.

Difficile dire quanto questa ondata di violenza fuori controllo, sul fronte occidentale non avvenne nulla di simile, fosse preordinata. Spiega la professoressa Caccamo a Il Giornale: «Indubbiamente ci furono delle componenti spontanee. Semplicemente in casi come questi se i comandi non intervengono per frenare i soldati è evidente che il saccheggio diventi la regola. In più in questo caso, probabilmente, molti sovietici si sentivano autorizzati alla vendetta. Di certo possiamo dire che i vertici dell'Armata rossa non si posero in nessun modo il problema di controllare le violenze. Quanto a Stalin aveva un progetto geopolitico ben preciso. Voleva espandere il territorio russo a danno della Polonia. E quindi doveva compensare i polacchi con territori tedeschi. Una pulizia etnica della componente tedesca non gli risultava certamente sfavorevole. Per di più Stalin temeva che la Germania fosse comunque, in brevissimo tempo, in grado di rialzare la testa. Gravarla di milioni e milioni di profughi era un modo di rallentare la sua ripresa». Di certo gli effetti furono devastanti: «La cittadinanza di Breslavia sotto il Gauleiter Karl Hanke fu obbligata a una resistenza senza senso di tre mesi. La popolazione fu praticamente annientata. Ma è solo un esempio, un numero enorme di persone morirono a causa di una fuga disperata e non pianificata condotta in un inverno particolarmente gelido. Dei quattro milioni di tedeschi in fuga che si trovarono comunque sotto controllo russo nella Germania Est solo 900 mila riuscirono a scappare ad Ovest dopo la fine della guerra».

La fine del conflitto se significò per molti, quelli arrivati a Ovest, l'inizio di una nuova vita, portò con sé l'obbligo della rimozione. Spiega Caccamo: «I tedeschi avevano subito delle terribili atrocità, ma ne avevano anche precedentemente commesse.

Quindi anche a Ovest parlare del tema era quasi un tabù.

Se all'inizio, sotto i cancellierati di Adenauer, era comunque possibile mantenere almeno il punto sui territori perduti della Germania, quando Willy Brandt iniziò a portare avanti la distensione verso la Germania est e i sovietici l'argomento venne completamente rimosso e lasciato in appannaggio solo ai nazionalisti di estrema destra. Nella Germania est invece non si poteva nemmeno dire profughi. Un'identità culturale è stata cancellata. E solo negli ultimi anni e con fatica si è ripreso a parlarne».

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